Oltre 50mila numeri di telefono, tra cui quelli di attivisti, giornalisti, avvocati, oppositori politici finiti in mano a diversi governi, in alcuni casi dittature, che hanno potuto spiare i messaggi, le telefonate, estrarre foto e informazioni, fino ad accedere al microfono e alle telecamere dei dispositivi. Tutto grazie al software di spionaggio Pegasus distribuito dalla società di sorveglianza, con base in Israele, NSO Group. È quanto emerge dall’inchiesta realizzata dal Guardian e altre 16 organizzazioni, secondo la quale la vendita, legittima, di un sistema del genere a governi e istituzioni internazionali riconosciute ha però aperto le porte a violazioni della privacy di soggetti che non rientravano in indagini di polizia.

L’azienda sostiene che il suo sistema viene venduto solo a governi e forze armate sui quali vengono fatte anche valutazioni legate ai diritti umani, per essere sicuri che le informazioni rintracciabili con lo spyware Made in Israel vengano utilizzate esclusivamente per individuare criminali e terroristi, aggiungendo che la compagnia “non gestisce i sistemi che vende a clienti governativi controllati e non ha accesso ai dati degli obiettivi dei suoi clienti”. Ma dalle indagini svolte dal quotidiano britannico emerge una realtà diversa. Le ong Forbidden Stories e Amnesty International hanno infatti avuto accesso all’elenco dei telefoni messi nel mirino dal programma Pegasus, anche se questo non rappresenta una prova che siano stati effettivamente tutti violati. Ma da un’analisi di un piccolo numero di dispositivi emerge che circa il 50% di questi erano stati infettati. Dalla lista si capisce, inoltre, che i clienti dell’azienda israeliana non erano interessati solo alla cattura di pericolosi criminali, anzi per niente, ma più alle attività di circa 180 giornalisti, oltre ad attivisti, dirigenti aziendali, figure religiose, accademici, dipendenti di ong, funzionari sindacali e funzionari governativi, inclusi ministri, presidenti e primi ministri. “L’elenco contiene anche il numero dei familiari stretti del sovrano di un Paese – scrive il giornale inglese – suggerendo che il sovrano stesso potrebbe aver incaricato le proprie agenzie di intelligence di esplorare la possibilità di monitorare i propri parenti”.

Nell’elenco era presente anche il numero di telefono di un giornalista messicano freelance, Cecilio Pineda Birto, che poche settimane dopo l’inserimento nella lista è stato ucciso, con i suoi assassini che sono riusciti a localizzarlo in un autolavaggio. Il suo telefono non è mai stato trovato, quindi nessuna analisi ha potuto stabilire se, effettivamente, fosse stato violato.

Da un’analisi dei dati raccolti emerge che tra i clienti di NSO ci sono i governi di Azerbaigian, Bahrain, Kazakistan, Messico, Marocco, Ruanda, Arabia Saudita, Ungheria, India ed Emirati Arabi Uniti, ma non si può escludere che la lista dei Paesi possa essere ben più lunga. Quello che però ha usufruito più del sistema è proprio il Messico, contribuendo alla lista con ben 15mila numeri di telefono, seguito da Marocco ed Emirati con 10mila ciascuno. Anche se i telefoni elencati coprivano più di 45 Paesi in quattro continenti, tra cui più di 1.000 numeri in Stati europei.

E proprio stringendo lo sguardo all’Europa emerge che il governo ungherese di Viktor Orbán potrebbe aver utilizzato la tecnologia di NSO come parte della sua cosiddetta guerra ai media, prendendo di mira i giornalisti investigativi nel Paese e la stretta cerchia di uno dei pochi dirigenti indipendenti nel panorama mediatico nazionale. Si trovano poi tracce anche dell’Arabia Saudita e del suo alleato, gli Emirati Arabi, che hanno preso di mira i telefoni di stretti collaboratori del giornalista del Washington Post assassinato all’interno del consolato saudita a Istanbul, Jamal Khashoggi, nei mesi successivi alla sua morte. Anche il procuratore turco che indagava sulla sua morte era nella lista.

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