Cinque procuratori aggiunti di Milano, tre sostituti, il presidente del Tribunale Roberto Bichi e il giudice Marco Tremolada sono stati convocati dalla prima commissione del Consiglio superiore della magistratura nell’ambito dell’attività di vigilanza sul caso Eni/Shell-Nigeria. L’organo di autogoverno vuol verificare se negli uffici giudiziari milanesi esistano situazioni di incompatibilità ambientale o funzionale in seguito alle frizioni degli ultimi mesi tra Tribunale e Procura – in particolare dopo la sentenza di assoluzione degli imputati per la presunta maxi-tangente africana – e all’interno dello stesso ufficio inquirente. Quasi tutte le audizioni sono fissate per il 26 e il 27 luglio.
Oltre alle già note convocazioni di Letizia Mannella e Tiziana Siciliano – rispettivamente responsabili del dipartimento fasce deboli e di quello ambiente, salute e lavoro – e dei pm Francesca Crupi e Alberto Nobili, il Csm ha convocato anche gli aggiunti Maurizio Romanelli (anticorruzione) Eugenio Fusco (frodi, tutela dei consumatori e reati informatici) e Laura Pedio (criminalità comune), titolare, quest’ultima, dell’inchiesta sul cosiddetto “falso complotto Eni”. Non si escludono le audizioni di Riccardo Targetti (crisi di impresa) e Alessandra Dolci (Dda) ed è molto probabile anche quella del procuratore capo Francesco Greco, che però, fino adesso, non è ancora stato contattato.
Nessuna convocazione, invece, per Fabio De Pasquale, coordinatore del pool affari internazionali e reati economici transnazionali. Le tensioni tra magistrati ruotano infatti intorno al mancato deposito, agli atti dell’indagine per corruzione internazionale sul caso del giacimento Opl 245, del video che dimostrava la malafede dell’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, “grande accusatore” del cane a sei zampe: vicenda per cui l’aggiunto De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro, titolari del fascicolo, sono indagati a Brescia per rifiuto d’atti d’ufficio. Ma ad avvelenare il clima c’è anche il caso dei verbali di Piero Amara, l’ex legale dell’Eni che al pm Paolo Storari ha descritto l’esistenza della fantomatica “loggia Ungheria”. Lamentando l’inerzia dei propri dirigenti nell’iscrivere la notizia di reato, Storari aveva trasmesso gli atti al consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Entrambi sono indagati, sempre a Brescia, per rivelazione di segreto d’ufficio.