Mentre Giuseppe Conte incontra Mario Draghi per discutere della riforma della giustizia, Marta Cartabia invia un messaggio ai 5 stelle. Oggetto: la legge è stata approvata in Consiglio dei ministri da tutte le forze che sostengono il governo. Pure dal M5s che ora annuncia l’intenzione di presentare profonde modifiche o in alternativa di non votare il testo originario della riforma. Proprio per questo motivo l’ex premier ha incontrato il suo successore a Palazzo Chigi. Solo che mentre Conte e Draghi discutevano di giustizia, per trovare una mediazione, la guardasigilli è intervenuta a Firenze per dire che il testo della riforma approvato “non coincide con la proposta originaria. Se proprio dobbiamo ricorrere a degli slogan, più che di riforma Cartabia potremmo parlare di mediazione Cartabia ed è frutto di una responsabilità condivisa. Ciascuno dei partiti della maggioranza ha dato il suo contributo. Ciascuno ha adeguato la sua posizione dove necessario. Tutti hanno contribuito e tutti hanno rinunciato a qualcosa, per portare a termine una riforma che è indispensabile anche per gli impegni assunti in Europa”.
Come dire: non c’è alcuna mediazione da fare sulla giustizia, perché la riforma approvata è già il frutto di una mediazione. E a quella mediazione hanno partecipato anche i 5 stelle. Un messaggio in piena regola quello dell’inquilina di via Arenula che ricorda che “quella attualmente è all’esame del Parlamento è una riforma approvata dall’intero governo dopo mesi di dialoghi, di confronti a 360 gradi e di lunghe e pazienti trattative e mediazioni a cui hanno partecipato e dato il loro contributo tutti i protagonisti politici della maggioranza, nessuno escluso. E tutti lo hanno approvato nel Consiglio dei ministri, fatti salvi i necessari aggiustamenti tecnici”. Un modo per tenere il punto e richiamare le varie anime della larga coalizione: oltre ai 5 stelle, pure il Pd ha annunciato modifiche alla riforma. Contestata soprattutto nella parte in cui introduce il meccanismo dell’improcedibilità: con la riforma se un processo di Appello non si conclude in due anni (tre per quelli sui reati più gravi) si blocca e non può più andare avanti. Stesso meccanismo, ma con la tagliola fissa a un anno, in Cassazione.
Un meccanismo che secondo la guardasigilli serve a ridurre i tempi dei processi. “E’ ovvio che la riduzione dei tempi dei processi non può dipendere solo dalle riforme del rito, penale o civile, né tantomeno dalle regole che governano l’improcedibilità. Ci vogliono risorse e capacità organizzativa. Sappiamo bene che ci sono alcune Corti di appello che hanno tempi di decisione superiori ai due anni, ma 19 su 29 già rispettano i tempi previsti, solo 7 sono le situazioni critiche”, sostiene la guardasigilli. Che poi ripete un concetto già pronunciato più volte in passato. “C’è un nesso strettissimo tra una giustizia efficace e la prosperità sociale. Per questo il piano di resilienza europeo chiede imperiosamente interventi di riforma della giustizia”. Il Recovery, però, chiede di velocizzare i tempi dei processi, non di farli morire dopo due anni in appello. Cartabia quindi ha sostenuto: “Ogni processo che si estingue è una sconfitta dello Stato. Ma ogni processo che dura oltre la ragionevole durata è un danno tanto per le vittime – in attesa di risposte – quanto per gli imputati, lasciati per anni in un limbo che il più delle volte condiziona l’intera esistenza. Teniamo sempre in mente entrambe le prospettive e lavoriamo tutti agli obiettivi che ci siamo dati con senso di comune e costruttiva responsabilità”. Quindi ha ribadito quanto annunciato più volte pure da Draghi: “Ridurremo del 40% i tempi di definizione del processo nel civile e del 25% nel penale. E a questo obiettivo tendono le riforme, sia del processo civile che di quello penale, che sono ora in Parlamento”.