Nel 2001 abitavo a Gerusalemme ed era in corso la Seconda Intifada che ho vissuto tutta dall’interno e in mezzo agli attentati. Quell’anno, tra molte difficoltà, volli tornare a Genova, senza immaginare che stavo passando da un incubo all’inferno. A Gerusalemme ero in mezzo agli attentati di kamikaze e all’esercito israeliano, una guerra dichiarata tra nemici. A Genova avrei scoperto che era lo Stato contro i propri cittadini.

Abitavo nel centro storico, zona di Genova centro-est, dove sta Palazzo Ducale: dentro i G8 sono prigionieri di se stessi e fuori gli abitanti sono carcerati nelle loro case. Le inferriate presidiate e i tombini e le cassette postali su strada piombati sono il sigillo di un campo di guerra preventivo. È venerdì 20 luglio. Nulla è permesso, tutto è vietato. Con un giro dell’oca mi dirigo verso Porta Soprana, fuori dal recinto “rosso”. Finalmente trovo una edicola accessibile. Dappertutto poliziotti, carabinieri e militari. In piazza Dante, un gruppo manifesta contro le barriere. La polizia di Stato e altri reparti combattono il popolo che esercita il diritto di manifestare, ma non si può: la democrazia è stata sequestrata dalle “Forze dell’Ordine” (sic!) che invece avrebbero dovuto garantirla.

Da Piazza Dante, torno indietro e per corso Maurizio Quadrio e Aurelio Saffi mi dirigo alla Stazione Brignole, due chilometri a piedi. La grande manifestazione è fissata al pomeriggio. A mezzogiorno cammino solo nel deserto di una città senza vita. Una fila di container lato mare – per impedire assalti dall’alto? – ostruisce la vista. In direzione dei Pescatori del Mare, a ridosso di uno stabile nei pressi della Fiera, osservo perplesso un traffico che non mi piace: un furgone bianco e alcuni uomini che passano caschi e mazze e bastoni e altro materiale che non distinguo caricando due macchine. Dopo capirò che stavano preparando la guerra a sangue freddo, con lucidità e premeditazione.

Poi verranno Corso Gastaldi, Piazza Alimonda e alla sera la Scuola Diaz, Bolzaneto e le mattanze programmate a tavolino. Lo Stato “preventivo” che sospende se stesso e inizia la carneficina, autorizzando le forze oscure del disordine, medici traditori e politici fascisti che vogliono a tutti i costi fare le prove per occupare lo Stato, gettando nel cesso la Carta che dovrebbe impedire a tutti di fare quello che colpevolmente hanno fatto.

Il governo Amato è stato sostituito da Berlusconi. Il “pregiudicato” narciso compiaciuto, sicuro di aver messo le mani sul potere, lo vuole per sempre: porta Bossi e (gli ex) fascisti di Fini al governo, i quali in quei giorni stracciano pubblicamente la Carta. Fini è nella cabina di regia della polizia, Berlusconi gigioneggia con i capi di Stato e, da quello che vedo attorno, mi pare che vi sia un disegno politico: fare le “prove generali” per occupare lo Stato e non mollarlo più? Se la prova riesce a Genova, medaglia d’oro della Resistenza e città che fa crollare i governi fascisti (Tambroni, 1960), occupare l’Italia è un gioco da ragazzi. L’esercito e contorni di polizia e carabinieri, questa volta “infedeli”, sono reclutati come nella peggiore Argentina dei colonnelli, come nel Cile di Pinochet. I militi “usi ad ubbidir tacendo” si fregano le mani e hanno di picchiare. Non sapremo mai se abbiano ricevuto carta bianca, ma possiamo pensarlo, perché dai frutti si giudica l’albero.

A mandare tutto all’aria ci pensa un ragazzo in canottiera senza casco e pistole, che, come Davide, entra nella mischia per resistere con ogni mezzo e lottare contro i predatori di democrazia, gli affossatori del Diritto e dei Diritti, forse pensando al suo bambino, lasciato a casa con la mamma. Carlo Giuliani è lì, in piazza Alimonda, circondato da militari venuti da fuori Genova, inesperti e incapaci di guidare le camionette. Un estintore issato come una bandiera di guerra o forse come scudo o anche come arma. In quella bolgia infernale, tutto è lecito e permesso al cittadino combattuto come nemico. Uno sparo. Fuggi-fuggi alla ricerca di un riparo, ma riparo non c’è perché Carlo, appena 23 anni di vita, stramazza a terra ed è ancora vivo quando i carabinieri, invece di soccorrerlo, lo attraversano con la camionetta.

Alla resa dei conti hanno pure il coraggio di dire che lo sparo fu indirizzato in alto, ma deviato dal sasso di un manifestante. Le “forze antidemocratiche” sono così imbecilli da pensare che un intero popolo sia così cretino da bersi le loro falsità ignobili. Si qualificano da sole come forze illegali del disordine perché arrivarono a fabbricare prove false, portando loro le molotov per accusare innocenti e depistare dalle loro colpe e responsabilità.

Non hanno intercettato alle frontiere i Black Bloc stranieri, ma ben coperti da caschi per essere irriconoscibili violarono la scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto, due luoghi simbolici: la scuola, spazio di sapere e di pensiero, e la caserma, luogo di suprema sicurezza per chiunque vi è custodito. Le forze traditrici del disordine li trasformarono in macello, sapendo di commettere un sacrilegio. Umiliarono donne denudate, torturarono compiaciuti come in una qualsiasi Abu Ghraib, come in Libia, come l’Isis. Sì, non ci fu differenza, anzi c’è l’aggravante del loro giuramento di difendere la Costituzione e il popolo che li nutre e li paga. Polizia, carabinieri ed esercito furono in quei giorni i veri nemici dello Stato, insieme a quel governo che li protesse da subito e non pretese le loro dimissioni e la loro condanna in nome di una parvenza di diritto democratico.

Nessuno di loro ebbe conseguenze, ma al contrario, nonostante le condanne a tutti i livelli giudiziari, fecero carriera; come Gianni De Gennaro promosso a capo della Fincantieri, nonostante il suo successore, Franco Gabrielli, dirà che al suo posto si sarebbe dimesso, aggiungendo, dopo le sentenze che non poteva smentire, che “sì, a Genova ci fu tortura”. Sì, tortura. Come possiamo oggi perseguire i fanatici dell’Isis, che in nome di un malinteso Islam inesistente tagliano teste, torturano e violentano in nome di un dio impossibile? L’Italia antidemocratica ne anticipò cultura e metodi, dimostrando di essere peggiore degli invasati.

Non voglio lasciare quei giorni, ma lì pretendo di restare, a custodire la memoria oscena che mi ha tolto l’illusione di essere cittadino sovrano in uno Stato che garantisce diritto e diritti costituzionali. Col corpo vivo in Italia, ma nel cuore rinnego questo Stato e i suoi governi, che, ieri come oggi, proteggono coloro che dovrebbe perseguire con durezza. Invece chi fa parte del governo, come Matteo Salvini, va a Santa Maria Capua Vetere a solidarizzare con gli aguzzini e torturatori, figli dei poliziotti della Genova del G8 del 2001.

Senza parlare della riforma della Giustizia a marca Cartabia (CL, lei e il marito) che è a mio parere la prova del nove di come lo Stato sia servo dei potenti e delle lobby, proteggendo i delinquenti, non importa se calpestando e torturando i deboli e i cittadini onesti. L’offesa è ancora più grande se si pensa che la proponente è stata presidente della Suprema Corte costituzionale.

Restare fissi nella Genova del G8 significa custodire la memoria di un futuro che a Genova è stato ucciso per volere del governo e dei suoi militi che hanno dichiarato guerra alla democrazia, con conseguenze devastanti e ferite ancora oggi, a venti anni di vicinanza, sanguinanti.

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