Era nella lista dei dieci terroristi rossi, condannato in Italia, in via definitiva, per reati commessi negli anni del terrorismo. Nel 1981 partecipò all’attentato contro il dirigente dell’Ufficio provinciale di collocamento di Roma, Enzo Retrosi. Nel 1982, tentò il sequestro dell’allora vicecapo della Digos di Roma
Pensava di esser sfuggito alla cattura nell’operazione dello scorso aprile, ed invece Maurizio Di Marzio, 59 anni, è stato arrestato questa mattina a Parigi. L’ex terrorista rosso per cui l’Italia chiede l’estradizione è accusato di atti terroristici risalenti agli anni ’70 e ’80. La sua pena, come stabilito dalla Corte d’Assise di Roma, nel provvedimento dello scorso 8 luglio, non è ancora prescritta: deve scontare un residuo di pena di 5 anni e 9 mesi di carcere per i reati di banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona, rapina.
Nello specifico il nome di Di Marzio è legato all’attentato al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento di Roma Enzo Retrosi, nel 1981, e soprattutto al tentato sequestro del vicecapo della Digos della capitale Nicola Simone il giorno della Befana del 1982. Il commando dei terroristi era composto da 5 persone. Il tentativo di rapire Simone fallì perché riuscì a reagire: il funzionario di polizia sparò colpendo uno dei rapitori, mettendo in fuga gli altri. Secondo un articolo del gennaio 1982 de L’Unità, un uomo “trasvestito da postino bussò alla porta di Simone”. Il funzionario di polizia controllò dallo spioncino e aprì la porta impugnando già la pistola perché non si fidava. Secondo la prima ricostruzione il terrorista avrebbe sparato contro il funzionario di polizia, il quale avrebbe avuto la forza di reagire esplodendo a sua volta due colpi. Stando alla nuova versione, invece, altri componenti del commando Br erano appostati sul pianerottolo e avrebbero cercato di aggredire Simone per immobilizzarlo e rapinarlo. Allora il vicecapo della Digos avrebbe aperto il fuoco per primo, ferendo con due colpi uno dei terroristi e poi sarebbe caduto a terra ferito a sua volta da tre proiettili al volto”. Di origini molisane, di Trivento, Di Marzio era parte dell’ala militarista delle Brigate Rosse. Arrestato una prima volta, sempre a Parigi, nel 1994, su richiesta dell’Italia, Di Marzio non fu mai estradato nonostante il parere favorevole della Corte d’appello di Parigi perché il decreto non fu firmato dal Governo. Era l’ultimo latitante dopo l’operazione Ombre rosse, dello scorso maggio. Il dossier dei terroristi per i quali l’Italia chiede l’estradizione, è rimasto senza sviluppi per anni, per effetto della Dottrina Mitterand che escludeva la possibilità di estradare persone ritenute responsabili di reati politici commessi in Italia.
L’operazione dello scorso aprile, condotta dall’Antiterrorismo della polizia nazionale francese (Sdat) in collaborazione con il Servizio di cooperazione internazionale della Criminalpol e con l’Antiterrorismo della Polizia italiana, prevedeva l’arresto di 10 terroristi: Enzo Calvitti, Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli, Marina Petrella e Sergio Tornaghi, tutti delle Brigate Rosse; Giorgio Pietrostefani di Lotta Continua, Narciso Manenti dei Nuclei Armati contro il Potere territoriale, Luigi Bergamin, tra gli ideologi dei Pac, (il gruppo armato di Cesare Battisti) e condannato per due omicidi tra cui quello del macellaio Lino Sabbadin, Maurizio Di Marzio, ex brigatista e Raffaele Ventura, condannato per l’omicidio del vice brigadiere Antonino Custra il 14 maggio del 1977 a Milano, durante una manifestazione indetta dalla sinistra extraparlamentare.
La questione degli ex terroristi italiani rifugiati Oltralpe si è sbloccata con l’incontro a distanza l’8 aprile scorso tra i ministri della Giustizia dei due Paesi. Quella degli Anni di Piombo è una ferita ancora aperta, l’Italia non può più aspettare, aveva detto il ministro della giustizia, Marta Cartabia, sottolineando l’urgenza di dare subito seguito alla richiesta di assicurare alla giustizia gli ex terroristi, prima che per alcuni scattasse la prescrizione. Un’ esigenza compresa dal ministro francese, Eric Dupond-Moretti , che per la prima volta per il suo Paese aveva ammesso la necessità di “fare presto”.