È lunedì sera e da qualche giorno piove in Calabria, il clima è umido, abbastanza freddo e si teme il flop a Polistena nella serata dedicata all’intervento in piazza di Nicola Gratteri; invece, come sempre quando c’è il Procuratore di Catanzaro, la piazza alle 21 del 19 luglio si riempie di gente, tanta, soprattutto giovani, ogni angolo è occupato e si fatica anche in piedi a trovare posto nella centralissima agorà polistenese. C’è voglia d’ascoltarla questa voce controcorrente. Il brusio si placa, s’affievolisce. Silenzio. E Gratteri non delude.

È qui per presentare Non chiamateli eroi (Mondadori), ma si capisce subito che del libro parlerà poco. Certo, risponde alle domande di Michele Albanese, anche alle più scontate (“Dov’era lei quando arrivò la notizia della strage di Capaci”), ma gli preme parlare d’altro: “Consentitemi di dire della riforma Cartabia. Non è vero che un Procuratore della Repubblica deve stare zitto, non siamo più nel 1890, oggi è giusto che la gente sappia, che l’informazione circoli. E’ per questo che parlo. Cosa penso della riforma? Sono arrabbiato. Molto arrabbiato”. Cattura subito l’attenzione, Gratteri, da grande affabulatore. Analizza. Confronta i dati. Smonta le tesi degli ipergarantisti. Mostra la nuda realtà della giustizia in Italia: “Eravamo la patria del diritto, ora che cosa siamo? Dicono che le carceri sono sovraffollate. La soluzione è liberare i ladri? Questa classe politica sta preparando amnistie mascherate”. E’ l’incipit di un discorso sulla certezza della pena che solo un giusto processo può garantire. Ma, “la riforma Cartabia consente un giusto processo?”.

È la domanda chiave della serata. Siamo qui per parlare di Falcone e Borsellino e di altre storie di lotta alle mafie – argomenta – ma il modo migliore per onorarli è mettere a nudo i limiti di una riforma che rischia di fermare il 50% dei processi in corso. Insomma, la Cartabia pretende che si svolgano in due anni – con le stesse carenze d’organico di sempre – processi che finora non si chiudevano in tre”. I termini non saranno rispettati e finiranno tutti in prescrizione. “E’ questo che si vuole?” Pone domande Gratteri, e si sente che conosce le risposte. Garantismo? Qui si sta preparando la grande amnistia. Che diranno le persone offese, le vittime del reato? E’ lucido (“i magistrati devono fare giustizia, non smaltire le carte”) e ha coraggio quando invita tutti a seguirlo su Internet: “Dirò le stesse cose in Commissione giustizia alla Camera. Non ho paura. Seguite la diretta”. Infatti, in Commissione il 20 luglio: “Temo che i 7 maxi processi contro la ‘ndrangheta” che si stanno celebrando a Catanzaro “saranno dichiarati tutti improcedibili in appello”.

Un grido d’allarme. Anticipato la serata prima a Polistena, dove tra gli applausi insiste sul punto: “Feroce il mio giudizio contro la Cartabia, con questa riforma delinquere conviene di più. Le persone vengono umiliate dalla mafia, e abbandonate dallo Stato”.

Indica una via percorribile Gratteri? Certo, completamente opposta a quella della ministra: occorre rendere più snelle le procedure, “limitare le ipotesi di appello, rendere inammissibili le impugnazioni vistosamente pretestuose; ridurre i ricorsi in Cassazione, eccetera. E’ un fiume in piena Gratteri. Calmo. Preciso. Coraggioso. Il suo libro, Non chiamateli eroi, parla di Falcone e Borsellino, ma anche “dei saldi principi di Giorgio Ambrosoli”, della “determinazione di Libero Grassi”… “I loro sogni, il loro coraggio sono un modo per non dimenticare e ricordare che: ‘Si può fare qualcosa, e se ognuno lo fa, allora si può fare molto’”.

Non si arrende Gratteri, il pubblico di Polistena lo percepisce e in piedi ringrazia. Un lungo applauso che è un sostegno; una scelta di campo a viso aperto (non è così scontata in Calabria); un abbraccio all’uomo che rischia la vita lottando contro “loro”, gli ’ndranghetisti. A fine serata molti chiedono una dedica al Procuratore, ne leggo una scritta a un giovane che lo guarda ammirato: “Fortunato, ci sono loro ma ci siamo anche noi. Nicola Gratteri”. La piazza calabrese che gli si stringe attorno conferma che non è solo, e che non sarà solo Giuseppe Conte nella lotta contro la Salvaladri. La società civile c’è, pronta per una nuova battaglia di civiltà.

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