Mentre giunge notizia che il riscaldamento globale non risparmia neppure un paese apparentemente virtuoso come la Germania (anche se le sue industrie dell’automobile hanno dato un bel contributo all’aumento delle temperature…), passa pressoché sotto silenzio il Rapporto Ispra sul consumo di suolo 2021, relativo all’anno scorso. Singolare che non se parli visto che fra riscaldamento globale e consumo di suolo il rapporto è evidentemente stretto.
Singolare ma non stupefacente perché i nostri governi continuano ad andare in direzione diametralmente opposta alla conservazione del territorio. Non si prendono neppure provvedimenti minimi quali il divieto generalizzato di posare pannelli fotovoltaici su terreni agricoli o comunque fertili: provvedimento di una banalità sconcertante. Oppure lo stop nel realizzare grandi opere, volute solo per pagare una marchetta al Salini di turno. Oppure di rivedere quell’assurdo Testo Unico Forestale, voluto da quel genio di Gentiloni per soddisfare gli appetiti dell’industria del legno: insensato. Parole al vento, lo so.
Ma torniamo al rapporto, che denuncia che nell’anno della piena pandemia il consumo di suolo non ha conosciuto alcuna tregua: tutto si ferma meno che le escavatrici, le betoniere, le ruspe, le trivelle. Due metri quadrati al secondo consumati: e gli organismi di disinformazione belli zitti perché spaventerebbe questo dato. Meglio tacerlo. Con il solito primato per le regioni del nord, Lombardia in testa. Lombardia, che torna al primo posto fra le regioni con 765 ettari in più in 12 mesi, seguita da Veneto (+682 ettari), Puglia (+493), Piemonte (+439) e Lazio (+431).
“Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di carbonio.” Ispra dixit. Banale dirlo, ma le regioni si equivalgono nel consumo di suolo, che siano di sinistra (?) o di destra non importa. E qualche minus habens che pensa ancora che sulle cose che contano esistano differenze. Le cose che contano. Perché è questo quello che conta innanzitutto: l’ambiente.
Tutto il resto viene dopo, ma molto dopo, per importante che sia. Dalla prescrizione penale, al reddito di cittadinanza, al ddl Zan: è di ambiente sano che si vive. Ah, dimenticavo, il consumo di suolo si registra anche in zone sismiche o a rischio idraulico: quanti amministratori-coccodrillo avremo alle prossime alluvioni? E non parliamo della quantificazione dei servizi ecosistemici che costituiscono un costo enorme per la collettività.
L’Ispra, giova ripeterlo, è un organismo ministeriale: ora dipende da quel ministro Roberto Cingolani che viene dall’industria delle armi. Io francamente trovo mortificante che i suoi ricercatori continuino ad ammonire che le cose vanno male e chi governa se ne faccia un baffo. È mortificante per loro che lavorano per nulla e un grande dispendio di denaro. Almeno i nostri governanti abbiano quel minimo di coraggio per trarre le dovute conseguenze: sciolgano l’Ispra, gli facciano seguire la stessa sorte di tanti altri enti inutili del passato. Ci sarà più coerenza e più chiarezza.