Jerry Calà festeggia 70 anni (anche 50 di carriera secchi così come ridere) e l’arena di Verona, martedì 20 luglio alle 21, gli si apre davanti come un carillon
Libidine. Doppia libidine. Libidine coi fiocchi. Jerry Calà festeggia 70 anni (anche 50 di carriera secchi così come ridere) e l’arena di Verona, martedì 20 luglio alle 21, gli si apre davanti come un carillon. Dalla trascinante Maracaibo agli sketch con i Gatti di Vicolo Miracoli (saranno presenti tutti, Nini Salerno, Umbertone Smaila e Franco Oppini), dalla Verona Young Orchestra (70 ragazzi alle spalle di Jerry diretti dal maestro Diego Basso) fino alle special guest, colleghi, ex moglie, amiche che rispondono al nome di J-Ax, Ezio Greggio, Massimo Boldi, Mara Venier, Sabrina Salerno, Katia Ricciarelli, Shel Shapiro. Due ore per rievocare la poliedricità di un campione della commedia all’italiana anni Ottanta con tanto di esibizioni live, tormentoni, intere scene di film rifatte sul palco dell’Arena per l’occasione.
Jerry sei affaticato?
No, anzi. Sono gasatissimo. Per uno come me adottato da Verona e che ci è anche tornato a vivere fare il proprio show all’Arena va andar via ogni stanchezza.
Due ore in scena, bella prova…
Sono abbastanza abituato: negli spettacoli che faccio a teatro due ore ci arrivo come ridere. Mentre all’Arena ho tanti amici che mi aiuteranno.
50 anni di carriera c’è un ricordo che tieni nel cuore?
Il giorno che vidi il manifesto di Vado a vivere da solo, il mio primo film da protagonista. C’era il mio nome da solo sul titolo. In quel momento dissi allora ce l’ho fatta. Era per me un traguardo che mi prefiggevo da bambino quando andavo al cinema e vedevo le locandine appese fuori.
Invece c’è stato un momento di difficoltà in cui hai detto mollo tutto?
No, perché nel nostro lavoro lo sai, gli esami non finiscono mai. Momenti alti e momenti bassi. Per chi come me proviene da una generazione di attori che questo lavoro lo hanno studiato e praticato sul campo con tanta gavetta, cabaret, teatrini, locali, alla fine si sa fare un po’ tutto: se va male un film vai a fare serate, per dire. Momenti di abbattimenti vero mai avuti.
Una curiosità sulla tua “carriera” di studente: venisti a Bologna negli anni settanta a studiare lettere antiche: cosa ti spinse?
(Ride ndr) Intanto perché Bologna era nell’immaginario una città godereccia. Però poi ho dovuto confrontarmi con la realtà: si divertivano gli studenti figli di papà con lo spiderino. Io che stavo in una pensioncina squallidissima e mangiavo alla mensa università “perché non avevo un budget leggero, leggerissimo”. Mi venne una tristezza immane. Un weekend tornai a casa e venne da me Umbertone Smaila e mi disse: “Come va all’università?”; risposi: “Malissimo”. Lui: “Ho parlato con Franco e Nini per partire all’avventura: tu ci stai?” Quella sera nella mia cameretta gi saltai al collo e lo abbracciai: andiamo!
La comicità dei Gatti era anche conoscenza della musica, del teatro…
Provenivamo da un liceo con una seria compagnia teatrale dove facevamo musica ad alti livelli: sprituals, De André, la classica. Spaziavamo molto. Uno spettacolo si chiamava: 24mila ore di musica. La nostra produzione è curiosa: dalle più immediate Capito! e Prova, a Verona Beat e Caduta Libera che erano canzoni impegnate.
Tra le altre cose i Gatti cantavano: “Provaaaa a stare in piedi per un meseee in una tendina canadeseee”
Vivevamo tutti insieme noi Gatti in un grande appartamento, una specie di comune, dove la sera arrivavano amici e colleghi, tipo aperitivo. La canzoni le scrivevamo tutti insieme e chiaramente c’era una guida, Nini, il più prolifico e firmava i testi e ognuno di noi fava un contributo
I Fichissimi era un West Side Story lumbard…
Il grande Carlo Vanzina, insieme al fratello Enrico, hanno dato una svolta, un nuovo corso più leggero ma efficace alla commedia all’italiana. Oggi i ragazzini mi fermano e mi citano le battute de I Fichissimi e Vacanze di Natale. Mi dicono: vi divertivate tantissimo
Ho appena rivisto Sapore di Mare e la scena in cui cipolli la spalla di Virna Lisi…
Quando mi dissero che c’eraVirna Lisi non ci credevo. Ero intimoritissimo per quella scena. Lei però dietro a questo aspetto che metteva soggezione, era una romanaccia da pacca sulla spalla. “A Jé guarda che io gli schiaffi non li so dà finti”. E io: “Signora, ma si figuri”. Vanzina sadico me la fece girare dieci volte, ma furono gli schiaffi più belli della mia vita.
“Due adulti, un bambino e un ridotto male”…
Queste battute me le inventavo al momento. In Bomber Bud Spencer era senza Terence Hill. L’idea dei produttori e del grande regista Michele Lupo era quindi di disseminare il film di battute rispetto alla storia centrale. Lupo mi istigava sempre: di quello che vuoi. Mi scatenai. Pensa che battute come “Caro amico ti schivo” o “Sciaquafresh” i bambini me le citano ancora oggi.
In Vacanze di Natale diventasti il playboy Billo, quello del “non sono bello, piaccio”…
Un personaggio espanso che mi sono portato dietro per sempre.
“Se il mare fosse de tocio e io monti de polenta”…
Mi fai venire in mente Dogui (Guido Nicheli, nella scena citata spinto da Billo/Jerry ad andare con una prostituta per avere con sé la moglie Ivana/Stefania Sandrelli ndr), la mia più grande spalla. La sera a cena ne sparava di ogni.
Ma le donne cadevano davvero ai tuoi piedi in quegli anni?
Ma non è vero! Certo, mi davo da fare. Per conquistare una donna dovevo sempre inventarmi qualcosa e farla ridere
La donna più bella con cui sei stato?
Beh, io credo che la donna più bella e importante della mia vita sia stata Mara (Venier ndr)
Vi incontraste sul set di Al Bar dello Sport?
No, prima. Lì già vivevamo insieme. Tra l’altro quel film dove interpretavo il muto Parola non lo volevo fare. Tutta l’Italia ride alle mie stronzate e io faccio il muto? Mara mi convinse invece a farlo, mi fece capire che era una grande opportunità. Mi misi a frequentare un gruppo di sordomuti. Mi guardai i film dei fratelli Marx, Tognazzi in Straziami ma di baci saziami. Venne fuori una delle mie interpretazioni più lodate.
C’era un pool di sceneggiatori mica male a quell’epoca…
La commedia degli anni ottanta fotografava benissimo quel periodo. Noi eravamo nella piena tradizione italiana di una commedia che raccontava, con fare sguaiato e leggero, il reale.
Facesti anche delle riuscite commedie romantiche…
Un ragazzo e una ragazza di Marco Risi era molto carino. Lo scrisse, tra l’altro, Furio Scarpelli sceneggiatore di Monicelli, Scola, Comencini. Marco Risi con Vado a vivere da solo mi fece uscire dal tunnel del cabaret poi con Un ragazzo e una ragazza mi fece fare l’attore come si deve
Un ricordo o un aggettivo per Gianluigi Polidoro.
Un grandissimo regista, specializzato in film all’estero. Aveva un solo difetto: era attaccatissimo a Rodolfo Sonego, quindi per lui la sceneggiatura era sacra. Successe che mentre eravamo in Norvegia per girare Sottozero, io interpretavo un po’ a mio modo le battute e lui mi diceva: eh no, non va bene, Rodolfo ha scritto così. Io: guarda che è lo stesso. Telefonai a Sonego e gli spiegai il problema e lui arrivò in Norvegia: feci il film con uno sceneggiatore di quel calibro sul set. E lo feci con una certa libertà.
Pupi Avati
La storia con Pupi è questa. Un giorno vidi Una gita scolastica e mi piacque così tanto che mi feci dare il suo numero, lo chiamai, dissi sono Jerry Calà e guardi maestro per lui lavorerei anche gratis. Passò qualche mese, squillò il telefono ed era lui: Jerry sei ancora d’accordo a lavorare per me gratis? Feci un episodio di Sposi. Ero un presentatore fallito che tentava di tutto per tornare sui giornali. Dopo anni mi chiamarono dall’ufficio i fratelli Avati: abbiamo soldini per te, abbiamo venduto il film alla televisione.
Marco Ferreri.
Un uomo dolcissimo. Abbiamo allacciato un’amicizia prima delle riprese. Mi cucinava il pesce a casa sua. Mi stimava e amava molto i comici che vedeva in ruoli drammatici.
Il rapporto di Jerry Calà con la critica da attore e da regista.
Insomma. Fin dall’inizio non bellissimo. Mi hanno sempre molto criticato. Infatti per Diario di un vizio al Festival di Berlino mi chiesero scusa per come mi aveva trattato fino a quel momento. Il giorno dopo girai un’altra commedia mi massacrarono. Fa parte del gioco. Renato Pozzetto un giorno mi vide triste: Jerry sai quando ti devi preoccupare? Quando iniziamo a parlare bene di te.
Cosa fa ridere Jerry Calà?
Sono un appassionato, passione che accomunava tutti noi Gatti, di Woody Allen. È insuperabile, anche come regista. Lo conoscemmo, sai? Facemmo una foto insieme per la copertina di Tv Sorrisi e Canzoni. Smaila gli scrisse una lettera e dopo 15 giorni arrivò una risposta. Era Woody. Disse, ho visto le vostre cose, scrisse sulla lettera, e poi preparò anche una commedia per noi ma che per colpa di certi capoccioni non vide la luce.
C’è qualche parte che hai rifiutato e oggi te ne sei pentito?
Un po’ di pentimento l’ho avuto quando abbandonai il carro dei cinepanettoni. Alla fine però credo molto nelle sliding doors: avessi seguito quel filone non avrei conosciuto Avati o Ferreri.
Altri nomi, altri aggettivi: Lino Banfi.
Persona generosa sia nella vita che sul set. Nacque un’amicizia speciale.
Del resto avete vinto al Totocalcio insieme… (Al Bar dello Sport ndr)
Gliel’ho dato io il 2 di Juventus Catania!
Christian De Sica.
Girare i film con lui era una pacchia: negli Stati Uniti per Vacanze in America e a Cortina per Vacanze di Natale era uno spasso.
Last but not least: in Fratelli d’Italia cerchi di conquistare la bellissima Micaela (Sabrina Salerno): come facesti a resistere a così tanto fascino sul quel set?
Sabrina era ed è un’amica. Non avevo distrazioni. La vedevo con altri occhi (ride ndr).