Il presidente francese Emmanuel Macron, l’ex premier belga e attuale presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Se fino ad adesso lo scandalo nato intorno a The Pegasus Project riguardava solo i giornalisti, ora il caso di presunto spionaggio internazionale si allarga alle massime cariche politiche. Nella lista dei numeri di telefono da hackerare attraverso lo spyware della israeliana Nso compaiono infatti quelli di ben 14 capi o ex capi di Stato e di governo, tra cui appunto Macron. Dopo che Parigi aveva già annunciato l’apertura di un’inchiesta sulla vicenda, l’Eliseo è intervenuto dichiarando che “se i fatti emersi dovessero essere confermati, sarebbe ovviamente gravissimo“, confermando di fatto le indiscrezioni sul possibile spionaggio ai danni del presidente francese. “Sarà fatta piena luce su queste rivelazioni di stampa”, prosegue la nota dell’Eliseo.
A rivelare che tra i possibili obiettivi dei pirati informatici ci sono anche presidenti e capi di governo sono i diciassette media coordinati dal consorzio di giornalismo no profit Forbidden Stories, tra cui Le Monde, il Guardian e il Washington Post. Lo scandalo è nato appunto dalla loro inchiesta sul sistema di spionaggio ad opera di diversi governi e che ha messo nel mirino oltre 50mila cellulari in tutto il mondo utilizzando lo spyware Pegasus prodotto dal NSO Group israeliano e venduto a governi ed eserciti. Dalle ultime rivelazioni emerge come tra i nomi delle personalità potenzialmente prese di mira ci sono almeno tre presidenti e tre capi di governo attualmente in carica, sette ex premier e il sovrano del Marocco. Nel dettaglio, oltre a Macron e a Michel, la lista comprende il presidente dell’Iraq Barham Salih, il presidente del Sud Africa Cyril Ramaphosa, il primo ministro del Pakistan Imran Khan, quello dell’Egitto Mostafa Madbouly e quello del Marocco Saad-Eddine El Othmani. Presenti poi alcuni ex primi ministri, tra cui quello del Libano Saad Hariri e quello dell’Uganda Ruhakana Rugunda. A completare l’elenco anche il re del Marocco Mohammed VI, l’ex presidente del Messico Felipe Calderon e il diplomatico statunitense Robert Malley, ex capo negoziatore al tavolo dell’accordo sul nucleare dell’Iran del luglio del 2005.
Secondo quanto ricostruito, tra i governi che avrebbero utilizzato il programma ci sarebbero anche quelli di Ungheria, Marocco, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. L’inchiesta della procura parigina indaga per dieci infrazioni, tra cui oltraggio alla vita privata, intercettazione di corrispondenza, accesso fraudolento a un sistema informatico e associazione criminale. A sporgere denuncia è stato il sito Mediapart, la celebre piattaforma di investigazione di cui due giornalisti, Edwy Plenel e Lénaig Bredoux, sarebbero stati spiati dai servizi segreti del Marocco. A questo dovrebbe seguire una denuncia simile da parte del settimanale Le Canard Enchaîné, in difesa dell’ex collaboratrice Dominique Simmonnot.
Anche l’Unione europea, dopo la condanna per bocca della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è mossa: “Il commissario Breton chiederà ai servizi della dg Connect di lavorare” sulla vicenda, ha annunciato il commissario alla Giustizia Ue, Didier Reynders, spiegando che il tema è stato trattato dal collegio dei commissari. “Stiamo iniziando a raccogliere informazioni per capire quale sia il possibile utilizzo dell’applicazione. Ma useremo più fonti, da quelle giudiziarie alle autorità sulla protezione dei dati, per verificare la solidità dell’informazione. Se vera, sarebbe inaccettabile”. “Nel caso dovessimo riscontrare che non possiamo affrontare la questione a livello europeo, perché si tratta di una questione di sicurezza nazionale, per quanto inaccettabile, affronteremo questa questione nella nostra raccomandazione” sulla libertà di stampa, ha aggiunto la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jurova.
Intanto, organi di stampa in Ungheria, Paese che in Europa, secondo le rivelazioni dei reporter che hanno svolto l’inchiesta, ha fatto l’uso più massiccio del software per controllare giornalisti e dissidenti, scrivono che sono circa 300 le persone, tra giornalisti investigativi, editori, sindaci di opposizione e noti avvocati, finite nella lista di coloro da tenere sotto controllo. Ieri il ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, ha smentito le rivelazioni dei media sull’utilizzo di questo software da parte di Budapest, ma non si placano oggi gli attacchi dell’opposizione contro il governo: “Questo scandalo è una vergogna per il nostro Paese”, ha detto Gergely Karacsony, sindaco verde di Budapest e uno degli sfidanti del premier Viktor Orban alle prossime elezioni. Secondo il presidente della commissione di sicurezza nazionale del Parlamento ed esponente del partito di estrema destra Jobbik, Janos Stummer, si tratta del “Watergate ungherese”. Stummer voleva convocare la commissione parlamentare per interrogare il governo e i dirigenti dei servizi segreti sulla vicenda, ma il partito di maggioranza Fidesz l’ha impedito sostenendo che si tratta “solo di false informazioni di stampa“: “Questo rifiuto vale un’ammissione”, ha replicato Stummer che comunque intende sporgere denuncia. Intanto, la Federazione dei giornalisti ungheresi (Muosz) si dice “costernata” e, in un comunicato, chiede informazioni chiare al governo. Anche se in Ungheria è in vigore una legge che autorizza i servizi a intercettare e sorvegliare chiunque senza il controllo della magistratura.
Anche oggi il Ceo del Nso Group ha voluto ribadire che la società è estranea ai fatti e che “non possiede alcun lista di obiettivi”, oltre a verificare di continuo che governi che hanno acquistato i suoi prodotti “non ne facciano un cattivo uso”: “Negli ultimi anni – ha detto – abbiamo sbarrato cinque sistemi a chi ne stava facendo un uso cattivo. Siamo selettivi, negli 11 anni di attività abbiamo stretto legami con 45 governi, ma ne abbiamo respinti quasi 90″.