Frans Timmermans, responsabile del Green deal, tra le righe spiega che dietro le preoccupazioni sul piano europeo ci sono le lobby. Intanto il ministro Cingolani rivendica la frase sul rischio di un "bagno di sangue" perché "trasformazioni così grandi mettono in discussione un intero sistema sociale". Ma i timori rispetto al pacchetto Ue li ha espressi dopo aver incontrato i vertici di Confindustria, come spiega sul Sole 24 Ore il delegato all'Energia Aurelio Regina. D'accordo con l'ex manager di Leonardo, del resto, sono anche Giorgetti e Di Maio, che ha detto: "Se la transizione è choc le nostre imprese chiudono"
Da un lato gli sforzi delle lobby per rinviare gli investimenti necessari per ridurre l’inquinamento dell’industria e dei trasporti, dall’altro le preoccupazioni (comprensibili) di chi teme le ripercussioni sociali dei rincari che scaturiranno dall’aumento del costo del carbonio e dal passaggio alle auto elettriche entro il 2035. Il pacchetto clima Fit for 55 presentato la settimana scorsa dalla Commissione europea è nel mirino da più parti. Anche se l’ultimo report dell‘Agenzia internazionale dell’ambiente stima che le emissioni di Co2 sono destinate ad aumentare ancora nei prossimi anni raggiungendo livelli record nel 2023. E se il vicepresidente esecutivo della Commissione Frans Timmermans, responsabile del Green deal, avverte: “Tutti condividiamo l’analisi che se la transizione verde non sarà giusta non avverrà. Quindi, bisogna assicurarsi che sia giusta”. Ma “nello stesso tempo tutti parlano dei Gilet Gialli: questo argomento a volte è utilizzato da chi ha interessi molto precisi da difendere“. Nessun nome, anche se in Italia è di pochi giorni fa la polemica dei Fridays for Future nei confronti del ministro Roberto Cingolani preoccupato per il destino della Motor Valley (fino a pochi mesi fa era amministratore non esecutivo di Ferrari).
Il titolare della Transizione ecologica ed ex manager di Leonardo torna sull’argomento in un’intervista al Messaggero, rivendicando la frase sulla transizione possibile “bagno di sangue” perché “trasformazioni così grandi mettono in discussione un intero sistema sociale” ed “è fondamentale che non vengano danneggiate decine di migliaia di persone che possono perdere il lavoro perché certe transizioni nell’industria si fanno in fretta“. Cingolani quindi ritiene che ci voglia gradualità, nonostante gli effetti deleteri dei cambiamenti climatici siano sempre più evidenti, e sostiene di essere preoccupato soprattutto per lavoratori e consumatori, anche se i suoi timori rispetto al pacchetto Ue li ha espressi dopo aver incontrato i vertici di Confindustria, come spiega sul Sole 24 Ore il delegato all’Energia di viale dell’Astronomia Aurelio Regina chiedendo al premier Draghi che le imprese siano convocate. Mentre il presidente di Conftrasporto-Confcommercio Paolo Uggè si dice soddisfatto perché i suoi timori sono condivisi dai ministri.
La posizione di Cingolani infatti è in sintonia con quella del titolare leghista del Mise Giancarlo Giorgetti, il quale ieri parlando a Libero ha messo le mani avanti: “Temo che la politica italiana ritenga il futuro green tutto rose e fiori, ma cosa faremo quando chiuderanno le aziende che non saranno in grado di riconvertire la produzione? Formeremo i licenziati sulle nuove tecnologie per reinserirli o aspetteremo che si moltiplichino le situazioni di crisi con milioni di persone disperate per strada? La motor-valley dell’Emilia Romagna senza una deroga rispetto alle direttive Ue che hanno stabilito obiettivi ambiziosi in termini ambientali è uno dei settori condannati a morte”. Perfettamente in linea del resto pure Luigi Di Maio: il titolare M5s degli Esteri partecipando a un evento di Confindustria ha ribadito che “la transizione ecologica deve essere transizione, se è choc le nostre imprese chiudono. C’è qualcuno in Europa che pensa che la transizione ecologica possa terminare in due anni. Faremo presente che le nostre aziende devono avere il tempo di adattarsi“.
Eppure la proposta Ue prevede l’istituzione di un fondo ad hoc, il Social climate fund, pensato proprio per aiutare i cittadini più deboli evitando che siano penalizzati. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen partecipando a un webinar della School of Transnational Governance dello European University Institute (Eui) ha spiegato che lo strumento potrà servire anche a dare aiuti diretti a famiglie a basso reddito alle prese con i costi della transizione ecologica. Nei piani della Commissione il nuovo Fondo “sarà attivo dal 2025, un anno prima del mercato della Co2 per trasporti ed edifici, e sarà cofinanziato al 50% dagli Stati, per arrivare a 144 miliardi” nel settennio 2025-2032. Servirà a dare “compensazioni dirette al reddito” delle fasce sociali vulnerabili e “a innovazioni che abbattono i costi dell’energia” per le stesse fasce sociali, come ad esempio soluzioni per l’efficienza energetica delle abitazioni. “Senza il mercato Co2 per trasporti ed edifici”, criticato da più parti per i suoi costi sociali, “la transizione avrà luogo lo stesso ma non avremmo il Fondo sociale per farvi fronte”, ha concluso von der Leyen. In caso la proposta della Commissione fosse approvata, il Fondo potrebbe valere 15,6 miliardi (co-finanziamento incluso) per l’Italia, terzo paese beneficiario in Ue.
Intanto l’Agenzia internazionale dell’ambiente fa sapere che stando agli attuali piani di spesa per la ripresa dei governi di tutto il mondo, le emissioni globali di anidride carbonica sono destinate a salire a livelli record nel 2023 e continuare ad aumentare negli anni successivi. Cosa che non consentirebbe di rispettare il percorso per l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 che l’Aie ha stabilito nella sua recente Global Roadmap to Net Zero. I risultati provengono dal nuovo Sustainable Recovery Tracker che l’Aie ha lanciato per aiutare i responsabili politici a valutare fino a che punto i piani di ripresa stanno spostando l’ago sul clima. Il nuovo strumento online è un contributo alla riunione ministeriale del G20 su ambiente, clima ed energia a Napoli, che si svolgerà il 22 e 23 luglio sotto la presidenza italiana.
Il tracker monitora la spesa pubblica destinata a recuperi sostenibili e quindi stima quanto questa spesa aumenti gli investimenti complessivi in energia pulita e in che misura ciò influisca sulla traiettoria delle emissioni globali. Il Tracker considera nella sua analisi oltre 800 politiche nazionali di recupero sostenibile. “Da quando è scoppiato il Covid-19, molti governi potrebbero aver parlato dell’importanza di ricostruire meglio per un futuro più pulito, ma molti di loro devono ancora mettere i loro soldi dove sono le loro parole. Nonostante le maggiori ambizioni climatiche, l’importo dei fondi per la ripresa economica spesi per l’energia pulita è solo una piccola parte del totale”, ha affermato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie.