Non è una misura protezionistica. E farà sì che i cittadini di uno Stato tengano conto delle emissioni legate alla produzione dei beni che consumano. Il premio Nobel per l’economia Paul Krugman è a favore del Meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (Cbam), conosciuto come Carbon tax, proposto dalla commissione Ue nell’ambito del pacchetto Fit for 55 e ipotizzato anche dai Democratici Usa. In un intervento sul quotidiano La Stampa che riprende quello uscito la scorsa settimana sul New York Times smonta gli argomenti del protezionismo e del rischio delocalizzazione. “Le tasse sul carbonio – spiega l’economista – sono legali secondo il diritto commerciale internazionale” e “non hanno nulla a che vedere col protezionismo”. Ma soprattutto secondo Krugman “qualche forma di sanzione internazionale contro le nazioni che non prendono provvedimenti per limitare le emissioni è indispensabile se vogliamo fermare davvero una minaccia ambientale che sta mettendo in pericolo la nostra esistenza”. Se la Cina e i paesi in via di sviluppo – responsabili di gran parte delle emissioni di CO2 – non partecipano alla lotta al cambiamento, gli sforzi dell’Ue o degli Stati Uniti rischiano di essere vanificati.
Per spiegare il suo punto, Krugman porta l’esempio dell’Iva: la tassa che riguarda i produttori che di fatto diventa un’imposta nazionale in quanto si traduce in prezzi più alti e subisce un adeguamento alle frontiere, per “non far pendere la bilancia da una parte”. “Tutto torna se si pensa all’Iva come a una tassa sulle vendite” continua Krugman. Chi importa, infatti, paga una tassa sui prodotti importati e chi esporta ottiene una riduzione uguale all’imposta pagata su ciò che si esporta. Il meccanismo di aggiustamento alla frontiera del carbonio potrebbe essere concepito allo stesso modo e si tradurrebbe in una tecnica per “indurre i cittadini di uno Stato a tenere conto delle emissioni derivate dalla produzione dei beni che consumano”. In altre parole, un modo per stimolare una generale presa di coscienza. In questo modo, “potremmo considerare molte norme sul cambiamento climatico come una forma di tassazione sui consumatori nazionali”. Un po’ come l’Iva, appunto.
Se una nazione ha bassi standard ambientali, i beni importati dovrebbero, infatti, riflettere una stima delle emissioni che sono state necessarie alla produzione. La difficoltà, spiega Krugman, starebbe nel fatto che molte norme sulla lotta al cambiamento climatico non si traducono soltanto in tasse, ma in leggi. Eppure, ciò non basta a scartare la misura. “Questa complicazione – scrive l’economista – non è una ragione sufficiente per non fare nulla: è chiaro che gli adeguamenti alle frontiere sono la cosa giusta da fare ed è meglio applicarli in modo imperfetto che non applicarli affatto”.