Nessuna data per l’uscita dal carbone e neppure un impegno concreto a rimanere sotto la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale. Sui punti chiave il G20 di Napoli non arriva all’accordo e, comunque, nonostante la maratona notturna di negoziati, si fanno pochi progressi anche sul resto del documento, per lo meno rispetto alle prime bozze. C’è uno zoccolo duro di cinque Paesi del G20 (tra cui Cina, India e Russia) che non va oltre gli Accordi di Parigi e, dunque, quell’impegno a mantenere nella prossima decade la temperatura del pianeta entro i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. E quei Paesi non avrebbero mai firmato un accordo che includesse l’impegno a rimanere, invece, sotto 1,5° (così come indicato dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e a eliminare il carbone dalla produzione energetica al 2025. “C’è un disallineamento sull’accelerazione” ha spiegato il ministro della Transizione energetica, Roberto Cingolani “più difficile per i Paesi più grandi” tra quelli che inquinano di più. Ergo: nonostante Usa, Ue, Gran Bretagna, Giappone, Canada e un’altra decina di Paesi volessero arrivare alla Cop 26 con un documento più ambizioso, il Communiqué su Clima ed Energia, quello della seconda e ultima giornata del G20 di Napoli, contiene 58 dei 60 paragrafi messi nero su bianco. Sui due più divisivi, ma che avrebbero dato il senso dell’urgenza non c’è stato nulla da fare. Non è bastata una negoziazione complessa durata 2 notti e 2 giorni nella quale, va detto, la presidenza italiana si è spesa molto. Per portare a casa la firma di tutti i Paesi del G20, quei due paragrafi sono stati rinviati al G20 dei capi di stato e di governo che si terrà a ottobre, a Roma. “A un livello di decisione politica più alta” ha spiegato il ministro della Transizione energetica, Roberto Cingolani. Ma la spaccatura resta ed è sempre più probabile che così si arriverà alla Cop 26 di Glasgow.

LE PAROLE DEL MINISTRO – In questo clima si chiude il G20 di Napoli, iniziato con i delegati che “facevano le condoglianze ai colleghi dei Paesi colpiti dalle alluvioni – ha ricordato in conferenza stampa il ministro – perché in Europa una cosa del genere nessuno l’aveva mai vista”. Il ministro ha parlato, comunque, di un risultato “importante” perché “per la prima volta in un G20 si raggiunge un accordo unanime su così tanti argomenti, mettendo insieme i temi del clima e dell’energia” sottolineandone “la connessione”. Si poteva ottenere di più? Certamente. Forse era un risultato prevedibile. E non solo guardando alle frenetiche trattative degli ultimi giorni. Cingolani ha voluto anche sottolineare che su molti temi che rientrano nei paragrafi dell’accordo “fino a pochi mesi fa, la discussione era proprio chiusa”.

LE POSIZIONI DIVERGENTI SUL CLIMA – D’altro canto non si parla certo di due paragrafi qualunque, ma di impegni e target cruciali per la transizione nei venti Paesi che rappresentano l’80% del Pil mondiale e producono oltre l’85% delle emissioni di gas serra. “Faremo tutto il possibile per attenerci a 1,5° (di aumento della temperatura rispetto ai livelli pre industriali, ndr)” aveva scritto su Twitter la presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, a margine del G7 in Cornovaglia. Così Cingolani al primo giorno di G20: “Dobbiamo essere estremamente convinti, tutti quanti che dobbiamo tenere l’incremento della temperatura sotto 1,5°C per la metà del secolo, non 2 o 2,5 perché anche quello fa una differenza enorme dal punto di vista del cambiamento climatico. Su questo c’è una discussione in queste ore”. E così è stato per tutto il G20, in una discussione molto accesa tesa a mettere d’accordo economie basate sul petrolio ed economie “che invertiranno la curva sì, ma al 2060 (leggi Cina)” aveva spiegato Cingolani, ricordando che “tutto va giocato in questa decade”, ma che “ci sono Paesi che hanno problemi sui target, come i Paesi Arabi, in parte la Cina, la Russia e i Paesi emergenti”. Sul tema, un gruppo di ong ambientaliste di vari Paesi europei ha pubblicato in mattinata una lettera aperta ai paesi del G20 per chiedere “un pacchetto post-pandemico che affronti di petto l’emergenza climatica” per mantenere il riscaldamento globale “al di sotto della soglia di sicurezza di 1,5°C”. In caso contrario “la battaglia per la giustizia climatica continuerà – hanno annunciato – con tutti gli strumenti a disposizione, inclusi quelli legali”. Tra i firmatari ci sono A Sud, Fridays For Future, Peacelink, Campagna Giudizio Universale, Client Earth, che hanno infatti ricordato come sedici dei membri del G20 hanno affrontato, o stanno attualmente affrontando, cause legali come risultato della loro inadeguata azione climatica. Tra essi Argentina, Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, India, Indonesia, Giappone, Repubblica di Corea, Messico, Sud Africa, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea. E anche Italia.

LA TRATTATIVA SERRATA – Il vertice ha da subito registrato una profonda divisione fra Usa, Europa, Canada da una parte, Cina, Russia, economie emergenti e paesi petroliferi dall’altra. I nodi sono ben noti. Cina e India, in piena crescita, non vogliono rinunciare alle fonti fossili, mentre Russia ed Arabia Saudita basano le loro economie sugli idrocarburi. Di fatto, già dopo l’incontro tra il ministro Cingolani e l’inviato speciale Usa sul clima, John Kerry e un breve dialogo tra i due, nella tarda mattinata era trapelata la difficoltà di portare avanti i negoziati su questi punti. Per tentare di sbloccare la situazione il ministro ha deciso di avviare, dopo la pausa pranzo, una plenaria con i ministri, per un negoziato in presenza. Delegati e ministri hanno così proseguito le trattative insieme, con alcune delegazioni, come quella della Cina, collegate da remoto. Il ministro ha però voluto incontrare quelle dei Paesi più ‘reticenti’ per chiarire tutti i dubbi sui temi caldi, cercando di sbloccare la situazione, con il supporto di John Kerry. Ma non si è potuto andare oltre. Alla fine sugli altri 58 paragrafi la situazione si è sbloccata dopo che la Cina ha dato il via libera al testo comune, portandosi dietro anche l’India, da parte della quale nella seconda giornata del vertice è arrivata l’opposizione più dura.

L’ACCORDO FIRMATO – Nel documento vengono riaffermati gli impegni dell’Accordo di Parigi come il faro vincolante che dovrà condurre fino a Glasgow, dove si svolgerà, a novembre, la Cop 26. Obiettivo comune è mantenere la temperatura ben al di sotto dei 2° e a proseguire gli sforzi per limitarla a 1,5° al di sopra dei livelli preindustriali. I Paesi del G20 concordano nell’aumentare gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo affinché nessuno resti indietro. Rimane centrale il ruolo dell’impegno finanziario da 100 miliardi, previsto già dall’Accordo di Parigi, con l’impegno ad aumentare i contributi ogni anno fino al 2025. E un ruolo, per l’aumento di questi fondi, è richiesto in particolare alle istituzioni finanziarie per lo sviluppo e alle banche multilaterali. Tutti i Paesi sono attivi nella transizione energetica totale, impiegando i 2 miliardi di dollari delle risorse dei Climate Investment Funds (CIFs). Si sottolinea il grande potenziale delle rinnovabili offshore, dell’energia oceanica e della possibilità di implementare questo tipo di tecnologia. Si riconosce la necessità di continuare a investire per le tecnologie rinnovabili, insieme alla riduzione dell’uso del metano “e di procedere spediti verso la riduzione della povertà energetica”. Anche Russia e Cina si sono impegnati a eliminare gradualmente la produzione di energia dal carbone senza sosta.

FLUSSI FINANZIARI, INNOVAZIONE, RICERCA E SMART CITY – Viene data un’importanza centrale “a orientare gli sforzi finanziari ed economici dei paesi del G20 verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, tenendo conto degli sforzi per sradicare la povertà, verso una transizione giusta e inclusiva”. Pur riconoscendo la necessità di continuare a dare priorità agli sforzi per far fronte al Covid-19, i Paesi del G20 si impegnano “a destinare una quota ambiziosa dei fondi per i piani nazionali di ripresa e resilienza a favore di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici”. Altri paragrafi riguardano, nel dettaglio, innovazione e ricerca e sviluppo, ma anche le smart city. Nell’ambito della mobilità si ribadisce l’urgente necessità di promuovere una mobilità sostenibile e conveniente “comprese tutte le relative infrastrutture, tenendo conto dell’analisi dell’intero ciclo di vita per raggiungere l’obiettivo a lungo termine dell’Accordo di Parigi”.

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