Il 19 marzo scorso, in un intervento pubblicato sul suo sito, la leader di Fratelli d'Italia faceva pressione sull'Ue scagliandosi contro "il fuoco di sbarramento delle sinistre" che, a suo dire, volevano ostacolare l'istituzione del lasciapassare sanitario. Che oggi, invece, definisce una "misura economicida" che viola le libertà delle persone
Sono bastati appena 4 mesi alla leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, per stravolgere la propria posizione sul green pass. Un processo che ha trovato la sua definitiva concretizzazione oggi, quando presentando il suo libro al Caffè de La Versiliana a Marina di Pietrasanta (Lucca), la principale esponente dell’opposizione è arrivata a dire che con il lasciapassare “stiamo picconando il nostro stato di diritto”, aggiungendo che il messaggio del presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ieri in conferenza stampa ha dichiarato che ogni “appello a non vaccinarsi è un appello a morire”, non erano altro che “parole di terrore”. Ma il 19 marzo scorso, in una sua dichiarazione ripresa anche sul suo sito ufficiale, la leader di FdI difendeva la decisione di istituire un green pass perché “l’adozione omogenea di questa misura in tutta l’Unione europea comporterebbe finalmente il venir meno di tutte le restrizioni”.
In quell’intervento di quattro mesi fa Meloni addirittura si opponeva a chi muoveva le prime critiche al lasciapassare Ue che avrebbe permesso alle persone vaccinate con doppia dose da almeno 15 giorni, ai guariti e a coloro che avrebbero potuto esibire un tampone negativo di tornare a viaggiare nei 27 Paesi dell’Unione. Una formula che anche i singoli Stati nazionali, a diversi livelli, hanno deciso di adottare internamente già prima del 1 luglio, giorno in cui è diventato operativo il nuovo sistema di controllo europeo. “Cosa aspetta la Commissione europea a richiedere la procedura d’urgenza al Parlamento europeo sul Certificato verde digitale? – si legge nel testo pubblicato sul suo sito – Non vorrei che il fuoco di sbarramento delle sinistre a cui è stato sottoposto ieri sera il commissario Reynders in Commissione LIBE sia la ragione di questo atteggiamento stranamente attendista. Il Certificato Verde segna un primo passo verso la definitiva eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione che tanto hanno danneggiato la nostra economia, segnatamente il settore turistico. Questo strumento deve essere implementato nel tempo più breve possibile, in modo che diventi effettivo già prima dell’inizio della stagione estiva, consentendo agli operatori di svolgere un’adeguata programmazione”.
Una richiesta che arrivava quando ancora i Paesi si portavano sulle spalle le conseguenze della terza ondata di Covid che ha colpito l’Europa, con la campagna di vaccinazione ancora agli albori, rallentata dai ritardi nelle forniture da parte delle case farmaceutiche produttrici dei farmaci per l’immunizzazione da Covid, e il timore di un’estate piena di restrizioni. “Purtroppo, i capricci ideologici delle sinistre di ogni gradazione di rosso stanno avendo la meglio su una misura fondamentale. Bisogna agire tempestivamente a livello legislativo, anche perché, quando sarà raggiunto un accordo definitivo sulla proposta tra Parlamento europeo e Consiglio, servirà altro tempo per predisporre questo strumento dal punto di vista tecnico – aggiungeva – Vorrei rassicurare chi avanza legittime preoccupazioni sulle implicazioni che tale dispositivo potrebbe causare sul diritto dei cittadini alla non discriminazione: non stiamo parlando di un passaporto di immunità. Il green pass non crea alcun obbligo, né diretto né indiretto, alla vaccinazione. Ne è la prova la proposta di equiparare tre diversi tipi di certificati relativi al Covid-19: certificati di vaccinazione, risultati di tamponi e certificati di guarigione. D’altra parte, l’adozione omogenea di questa misura in tutta l’Unione europea comporterebbe finalmente il venir meno di tutte le restrizioni, dai viaggi al libero utilizzo di tutte le infrastrutture pubbliche e private. Non può esserci altra priorità”.
Oggi, ascoltando le sue dichiarazioni, sembra che quei “capricci”, come li definì all’epoca, li stia facendo la leader FdI: “Stiamo picconando il nostro stato di diritto. Se devi esibire un certificato per essere libero vuol dire che non sei libero. Questi sono precedenti che pagheremo”, ha detto. Ed è poi passata a commentare su Facebook l’intervento di Draghi in conferenza stampa: “La cosa più inquietante della conferenza di Draghi sono le parole di terrore che ha scelto nel rivolgersi agli italiani. I numeri sembrano non contare più. Nonostante i dati delle terapie intensive siano ampiamente sotto controllo, il Green Pass è diventato il nuovo ‘mantra’ da imporre. Il resto non conta. Sottolineare l’incapacità nella gestione della pandemia non significa essere no vax o andare contro la campagna vaccinale, che ritengo fondamentale se fatta con trasparenza e serietà, ma non è accettabile che l’obbligo del foglio verde costringa subdolamente a vaccinarsi. Questa non è libertà“.
In realtà, le condizioni per ottenere la certificazione verde sono esattamente le stesse che venivano richieste quattro mesi fa, quando lei stessa indicava il green pass come un mezzo fondamentale per permettere una ripresa economica senza rischi: ossia essere vaccinati, guariti o presentare il risultato negativo di un tampone effettuati nelle 72 ore precedenti. “È un anno e mezzo che a pagare sono sempre gli stessi: bar, ristoranti, discoteche, il settore dello sport, della cultura e dello spettacolo – ha però continuato Meloni – Mentre a beneficiarne sono sempre i soliti noti. Sembra che il problema a Palazzo Chigi non sia più il virus, ma le attività”. E ha poi finito per definire il green pass “una misura inefficace, economicida, una misura che uccide la nostra economia”.