Tra scioperi, pandemia e rinvii, il procedimento, recentemente ricongiunto nei suoi due filoni - quello principale e quello sui depistaggi - è in fase preliminare. Anche quella di oggi, infatti, rischia di essere l’ennesima udienza senza decisioni. Nuove produzioni documentali da parte della difesa rischiano di rimandare ancora una volta la pronuncia da parte del gup Sarandrea. L'avvocato di alcune delle famiglie delle vittime: "Giochiamo a ping pong"
Mentre la politica vorrebbe introdurre una riforma della giustizia che fa morire i processi d’Appello se non si concludono dopo due anni, al tribunale di Pescara i parenti delle 29 vittime della strage di Rigopiano guardano con sconforto all’ennesima udienza di oggi. Tra scioperi, pandemia e rinvii, il procedimento, recentemente ricongiunto nei suoi due filoni – quello principale e quello sui depistaggi – è in fase preliminare. A quattro anni e mezzo dai fatti, che risalgono al 18 gennaio del 2017. “Il timore è che anche oggi ci rimandino a casa senza averci nemmeno fatto respirare una boccata di giustizia”, dicono all’agenzia Adnkronos i familiari mentre già dispendono in aula le magliette con i volti dei loro figli e fratelli.
Anche quella di oggi, infatti, rischia di essere l’ennesima udienza senza decisioni. Nuove produzioni documentali da parte della difesa rischiano di rimandare ancora una volta la pronuncia da parte del gup Gianluca Sarandrea sui riti alternativi per gli imputati, attesa per oggi. Concitati gli interventi delle parti, civili e della difesa, che al giudice hanno chiesto da una parte l’accelerazione di un processo “che rischia di essere snaturato da consulenze e nuove perizie” e dall’altra il diritto dell’imputato a conoscere il compendio probatorio.
In un processo come questo è evidente che i difensori degli imputati debbano esercitare il loro diritto di difesa fino in fondo. Il problema è che un processo come questo non può avere un andamento e una organizzazione come ha questo processo. Lo dico da mesi, anni. Mai come questa fase, se giochiamo a ping-pong, che ogni volta che arriviamo a un documento si deve poi dare il tempo per leggerlo, questo è un processo che per sua natura procede a rinvii di giorno in giorno”, ha detto l’avvocato Romolo Reboa, legale di alcune delle famiglie delle vittime.
“Il tema è l’acquisibilità o meno di alcune consulenze tecniche che abbiamo depositato la scorsa udienza. Le parti civili si sono opposte, mentre noi riteniamo siano assolutamente producibili e ammissibili. Il principio dell’udienza preliminare è che le consulenze siano acquisite e ammissibili almeno fino alla discussione: il pubblico ministero oggi ha introdotto una nuova consulenza tecnica, ovvero osservazioni sulla nostre depositate. Avendo noi intenzione di richiedere un giudizio abbreviato, chiediamo di avere il diritto di conoscere per intero il contenuto del fascicolo dell’udienza preliminare”, dice l’avvocato Massimo Galasso, difensore della coordinatrice della Sala operativa, la dirigente Ida De Cesaris (sua la famosa telefonata ‘Stanno al caldo, aspettano’ riferita alle persone intrappolate nell’hotel Rigopiano dopo la valanga, ndr) e l’allora prefetto di Pescara, Francesco Provolo. Secondo il legale “le polemiche non hanno ragione di esistere, sono da social, non possono entrare in un’aula di giustizia. Chi sceglie il ritmo delle udienze è il giudice. Questo tribunale credo abbia fatto tanto, e farà tanto, perché questo processo si concluda in tempi ragionevoli, come gli stessi imputati vogliono”.
Al centro del procedimento c’è la mancata realizzazione della carta valanghe -cioè il protocollo sul rischio valanga – sulle presunte inadempienze relative a manutenzione e sgombero delle strade di accesso all’hotel e sul tardivo allestimento del centro di coordinamento dei soccorsi. I reati ipotizzati a carico degli imputativanno, a vario titolo, dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico. Alcuni dei reati sono già a rischio prescrizione, come l’abuso d’ufficio che si prescrive in 5 anni, il falso in sette anni e mezzo, mentre per fare prescrivere il crollo occorrono 15 anni.
Il procedimento non sta andando a rilento solo a causa dei ritmi imposti dalla pandemia. Già prima del coronavirus procedeva a ritmo di un’udienza al mese. E infatti già nel novembre del 2019 i parenti delle vittime avevano protestato appendendo all’esterno del tribunale di Pescara ha appeso una serie di striscioni con le scritte: “Il dolore non va in prescrizione né si rinvia” e “29 morti non scioperano ma vogliono giustizia”. Gianluca Tanda, che fa parte del Comitato, diceva: “Io devo poter tornare a casa e dire a mia madre chi sono i colpevoli, chi ha ucciso suo figlio e non certo che non lo potremo mai sapere perché sono scaduti i termini di legge ed è scattata la prescrizione”.