Mancano una settantina di miliardi al Sud nella ripartizione dei fondi Pnrr, ve ne siete accorti?
Rinfreschiamoci la memoria. L’Italia avrà accesso a circa 191,5 miliardi di euro (122,6 prestiti e 68,9 trasferimenti) grazie al dispositivo di finanziamento per la ripresa e la resilienza (Rrf), a cui si aggiungeranno 30 miliardi da attingere dal fondo complementare nazionale, finanziato dallo Stato italiano, per un totale complessivo di 221,5 miliardi di euro. Ai quali vanno inoltre aggiunti altri 13,5 miliardi del programma React-Eu.
Il Governo italiano lo scorso 25 aprile ha concluso gran parte dell’iter burocratico giungendo all’approvazione definitiva del Consiglio dell’Unione Europea, che ha emanato una serie di linee guida generali riguardo alle modalità con cui i diversi Stati dovranno utilizzare e investire i fondi, che andranno impiegati principalmente per la creazione di nuovi posti di lavoro e per le politiche dell’ecosostenibilità ambientale.
Uno dei primi punti di discussione, a livello nazionale, insieme alle famigerate riforme richieste da Bruxelles, è stata la ripartizione delle risorse, essendo il nostro un Paese che viaggia a diverse velocità; dove sin dai tempi dell’Unità d’Italia non c’è mai stata una reale volontà politica di uno sviluppo economico omogeneo.
Dal lato europeo mancano infatti delle indicazioni specifiche sulla suddivisione delle risorse nei vari Stati. Quindi il nostro Governo ha affermato la volontà di eseguire investimenti per le otto regioni del Sud pari al 40% (82 miliardi), mantenendosi poco al di sopra della quota del 34% già prevista per il Mezzogiorno dalla legge per gli investimenti ordinari, creata in base alla percentuale della popolazione residente al Sud e nelle isole. Si tratta del principio di proporzionalità introdotto nel 2016 (art. 7-bis del dl 29 dicembre 2016, n. 243) rafforzato nel 2020 per garantire fondi ordinari in conto capitale proporzionali – appunto – alla popolazione. Dunque un misero +6% dell’ordinario al quale – per dovere di cronaca – bisognerà aggiungere le risorse previste dal fondo React-Eu che ammontano a circa 8 miliardi.
Nello scorso mese di aprile, in un intervento al Senato, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato che: “il Sud non è stato discriminato nell’assegnazione dei fondi del Pnrr […]. Si potrà far meglio, si potrà cercare di riparare a qualche mancanza in tutta questa congerie di sorgenti di fondi, ma sostanzialmente l’impressione non è quella di una discriminazione colpevole”.
Sembra tutto a posto? Non lo è. Mancano infatti, calcolatrice alla mano, circa 70 miliardi per il Sud. Il metodo applicato dal Governo italiano è lo stesso che utilizza l’Unione Europea, ossia una mera formula matematica che compara Pil, popolazione, reddito nazionale, regionale e tasso di disoccupazione di ogni Paese per determinare l’ammontare delle risorse da assegnare a ogni Paese Ue. Proprio con questa formula sono stati calcolate le distribuzioni delle risorse spettanti all’Italia. Applicandola alla suddivisione territoriale delle risorse destinate all’Italia e sostituendo i parametri europei con quelli su base regionale, si otterrebbe che al Sud spetterebbero di diritto, a circa 150 miliardi, 68 miliardi in più rispetto a quelli attualmente stanziati.
Quale formula ha dunque adottato il Governo? Siamo davanti ad un mero errore di calcolo o a calcoli politici? Se così fosse al Sud sarebbe stato confezionato un bel “contropaccotto” degno della più florida commedia italiana degli anni 90.
A questo bizzarro calcolo, che ha fatto sollevare oltre 500 sindaci del sud Italia e migliaia di cittadini che hanno presentato una petizione alla commissione competente del Parlamento europeo (che su istanza del collega Piernicola Pedicini anche io sto sostenendo), vanno aggiunte alcune considerazioni.
Il Sud ha un ritardo strutturale che può colmare solo con questo risorse, passate le quali non si sa come si potrà porre rimedio in futuro, anche perché stiamo contraendo una enorme quantità di debiti che andranno pagati (Draghi è sostanzialmente un rappresentante dei creditori con l’intero panorama politico ai suoi piedi). Nello scacchiere internazionale le possibilità di crescita dell’Italia nei prossimi decenni sono a Sud e verso il Mediterraneo, il Medioriente e l’Africa: continuare ad investire dalla parte sbagliata ci brucerà l’occasione di essere in vantaggio quando ci sarà la corsa verso quella parte di mondo, già iniziata peraltro. Le amministrazioni del Sud spesso non sono in grado di spendere, perché non dispongono della capacità amministrativa o delle professionalità per farlo. Questo vuol dire che quella quota già bassa sarà probabilmente ridotta per via di fondi non spesi e quindi redistribuiti. Film già visto e rivisto.
Visto lo stato dell’arte anche nei prossimi mesi manterremo alta l’attenzione sulle risorse spettanti al Sud e, soprattutto, sulle modalità applicative della distribuzione delle stesse. Capisco l’esigenza di stare nel governo dell’ammucchiata e lasciare il Sud e interi ceti senza rappresentanza, ma davvero non ci possiamo più permettere di allargare la forbice come sempre avvenuto in questi decenni.