Secondo Paolo Ferrua, Giorgio Spangher, Renzo Orlandi, Adolfo Scalfati e Marcello Daniele, il progetto di riforma "solleva serie perplessità in ordine al principio di obbligatorietà dell’azione penale". Inoltre, pronosticano, Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo "sarà pronta a censurare l'improcedibilità nella parte in cui lede gli interessi della vittima del reato"
Sono cinque dei maggiori processualpenalisti del Paese: Paolo Ferrua, Giorgio Spangher, Renzo Orlandi, Adolfo Scalfati e Marcello Daniele. E lanciano un appello al Governo: chiedono di tornare tout court alla prescrizione sostanziale, quella del reato, come previsto nella bozza originaria della commissione Lattanzi, perché l’“ibrida commistione” con l’improcedibilità immaginata dalla riforma Cartabia è “priva di qualsiasi ragionevolezza”. Nella lettera aperta pubblicata martedì sul quotidiano il Dubbio, i cinque giuristi elencano “con preoccupazione” una serie di aspre critiche al testo voluto dal Governo. Iniziano osservando che il progetto di riforma “solleva serie perplessità in ordine al principio di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), nella parte in cui consente il dissolvimento del processo in presenza di un reato non estinto, per il quale è in corso l’esercizio dell’azione penale”. E infatti l’improcedibilità estinguerebbe il processo (al superamento di due anni in Appello e uno in Cassazione), ma non il reato, che resta in piedi fino al suo termine di prescrizione naturale e diventa semplicemente “non più procedibile”.
E questa tagliola, proseguono i professori, “determina seri inconvenienti in caso di superamento dei termini previsti, fra i quali: la vanificazione delle eventuali misure disposte o da disporre a favore della parte civile, costretta a rinnovare in sede civile le sue pretese risarcitorie; la prevalenza della sentenza di improcedibilità su ogni altra formula, inclusa l’eventuale assoluzione disposta in primo grado e impugnata dal pubblico ministero, con una paradossale reformatio in peius per decorso del tempo”. E infatti, un imputato assolto il cui giudizio diventa improcedibile in secondo grado non potrebbe considerarsi scagionato: l’accusa resterebbe pendente sul suo capo fino alla prescrizione del reato. “A differenza della prescrizione sostanziale, che consente la pronuncia dell’assoluzione se risulta evidente l’innocenza dell’imputato”, nota inoltre il testo, “la “improcedibilità” preclude qualsiasi indagine di merito sia a favore sia a carico”.
Ancora: “Presumibilmente, la Corte di Giustizia (dell’Unione europea, ndr) autorizzerà i giudici di merito a “disapplicare” l’improcedibilità ogniqualvolta escano pregiudicati gli interessi europei (spesso coinvolti nel processo), con inevitabile incertezza sui casi di applicabilità o di non applicabilità della nuova improcedibilità”. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, pronosticano, “sarà pronta a censurare l’improcedibilità nella parte in cui lede gli interessi della vittima del reato e vanifica il diritto alla conclusione del processo, in tempi ragionevoli, con una sentenza sul merito dell’accusa”. E infine, “la natura processuale della prescrizione estintiva del processo rischia di sottrarre il legislatore al principio di irretroattività previsto per le sole norme penali sostanziali dall’art. 25 comma 2 Cost., con conseguente esposizione dei processi in corso a interventi normativi dettati da (sempre invocabili) contingenze emergenziali”. Su quest’ultimo punto, per la verità, non tutta la dottrina è d’accordo: anzi, è piuttosto diffusa l’opinione secondo cui l’improcedibilità avrebbe di fatto effetti sostanziali. E quindi varrebbe non solo il divieto di retroattività della norma peggiore, ma soprattutto l’obbligo di far retroagire quella migliore: con l’effetto di una mannaia anche sui processi per i reati commessi prima del 2020, l’anno da cui la riforma in teoria dispiega i propri effetti.