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Perché investire nella ricerca pubblica è l’unica garanzia di futuro

L’umanità intera e il pianeta tutto stanno attraversando una fase di estrema difficoltà, per effetto di fenomeni in parte di tipo nuovo, che costituiscono in realtà l’inevitabile conseguenza del tipo di sviluppo “spontaneo” e irrazionale – frutto unicamente dello scatenamento delle selvagge forze del profitto che dominano più che mai il mondo, nella loro fase di massima potenza e nocività, che è quella finanziaria.

Si tratta di fenomeni tra loro strettamente collegati, anche se la conoscenza umana al momento non è tale da potere identificare con precisione tutti i nessi esistenti. Abbastanza facile risulta, in effetti, intuire il legame esistente tra distruzione delle riserve naturali, inquinamento atmosferico, debilitazione e privatizzazione dei sistemi sociosanitari e diffusione del virus Covid. Così come è evidente la moltiplicazione dell’impatto negativo di questi fenomeni che è determinata dal fatto che sono tra loro connessi.

Eppure la consapevolezza al riguardo stenta a farsi largo nella classe politica e nei settori meno avvertiti dell’opinione pubblica. Chissà se gli incendi in Sardegna e nell’Ovest di Canada e Stati Uniti, le grandinate catastrofiche sull’autostrada, le inondazioni in Belgio e Germania, eccetera, hanno avuto il “merito” di regalare a queste persone un barlume di consapevolezza o se persistono tetragone nelle loro convinzioni. Chissà.

Certamente non possiamo aspettare che tutti si rendano conto della necessità di agire per contrastare, andando alle radici, i deleteri fenomeni che minacciano di degradare in modo irreversibile l’esistenza della specie umana. È però necessario che la relativa consapevolezza sia maturata dalla più grande parte della popolazione e che vengano studiate e messe a punto le soluzioni più efficaci. Il contributo della produzione della conoscenza, mediante la ricerca, risulta vitale a entrambe le finalità appena indicate ed è tanto più importante perché le misure da adottare devono essere basate su fondamenta scientifiche molto solide. Che si tratti di vaccini o di riconversione industriale, sono infatti fortissime le resistenze, anche se nel primo caso fanno capo a settori di massa disorientati e spaventati, le cui ansie sono a volte strumentalizzate da politici senza scrupoli, e nel secondo caso a imprenditori abituati a ottenere enormi profitti che oggi non sono più possibili.

Abbiamo quindi estremo bisogno di una ricerca pubblica, imparziale, non subalterna a diktat e mancette di Big Pharma o di costruttori di automobili che si attardano a produrre veicoli basati su tecnologie inquinanti. Abbiamo estremamente bisogno di una ricerca pubblica che sappia individuare e sviluppare fonti energetiche alternative al fossile che sta sprofondando tutto il pianeta nella micidiale crisi climatica che è solo agli inizi. Enormi sono le potenzialità della ricerca nel settore della medicina e, se adeguatamente realizzate, potrebbero concretizzare i principi costituzionali e legislativi relativi alla tutela della salute, oggi più che mai di attualità. Solo sulla conoscenza possono essere edificate democrazie autentiche e sovranità effettive, come ben comprese il grande Fidel Castro quando decise, molti anni fa, infischiandosene del criminale bloqueo statunitense, di dar vita a Cuba a un’industria farmaceutica autonoma che sta oggi mettendo a punto vaccini di indiscussa validità.

Era pertanto necessario che la gran parte delle risorse stanziate per il recupero dell’Italia e dell’Europa dopo il Covid andassero alla ricerca. Così non è stato. Purtroppo la gran parte di tali risorse andrà a finanziare progetti utili solo a lobby sparute e autoreferenziali, e verranno spesi, per giunta, senza tenere in adeguata considerazione quanto la scienza afferma al riguardo. Parlo di progetti fallimentari, che nascono morti, come il Tav o il Ponte sullo Stretto, ma anche delle sovvenzioni all’industria climalterante.

C’è quindi un crescente bisogno di ricerca e le persone che lavorano nel settore chiedono a gran voce di essere messe in condizione di svolgere al meglio la propria essenziale funzione. Lo chiedono i ricercatori del Cnr che hanno partecipato alle recenti prove concorsuali, molti dei quali hanno diritto a una condizione migliore di quella che vivono attualmente, dopo aver sgobbato per molti anni in cambio di pochi soldi e vorrebbero giustamente un ampliamento dei posti a disposizione. Lo chiedono i 395 ricercatori precari dello stesso ente dei quali il decreto 75/17 aveva previsto la stabilizzazione e che rischiano oggi invece di essere esclusi. E nel mondo della ricerca c’è posto per migliaia di altri giovani, che devono essere chiamati a svolgere una funzione di essenziale importanza per il futuro, in Italia come nel resto del mondo.

È quindi importante oggi farsi interpreti a tutti i livelli delle rivendicazioni sacrosante presentate da coloro su cui è di fatto gravato un lavoro che ha consentito di raggiungere risultati importanti e deve essere ulteriormente potenziato, dando risposte positive a richieste di dignità delle persone direttamente coinvolte e a esigenze di conoscenza e sviluppo nell’interesse del Paese e dell’intera comunità internazionale.