Tornare in Italia per le vacanze estive è un desiderio istintivo per chi si è trasferito in Regno Unito da anni e magari, oltre al sole, non vede la famiglia da molto tempo. Meno semplice però è programmare il rientro quando fuori infuriano le varianti Covid e le restrizioni cambiano da Paese a Paese, di giorno in giorno. Ma non avremmo mai immaginato che, ormai a pochi chilometri dall’Italia, ogni controllo alla frontiera saltasse, permettendo a chiunque di entrare nel Paese senza alcuna verifica dei documenti, dello stato di salute e delle precauzioni anti-Covid.
Decidiamo comunque di partire, in auto, da Londra a Firenze, due adulti completamente vaccinati e una bambina di sei anni. In ballo non ci sono solo le vacanze, ma anche la sicurezza nostra e di chi ci sta intorno, quindi l’attenzione alle regole è massima. Il sito del governo britannico rimanda ai precisi regolamenti che vengono applicati dai vari Paesi per disciplinare l’ingresso di stranieri. Viaggiando in macchina il primo approdo è la Francia e già sul sito dell’Eurotunnel ci chiedono di caricare un Api (Advanced Passenger Information) una sorta di check-in online con i dettagli personali e gli estremi del nostro passaporto. Dobbiamo anche inserire una copia del nostro certificato vaccinale fornito dal sistema sanitario Nhs che contiene due codici a barre per ciascuna delle dosi. Tutto piuttosto semplice e veloce.
Ma i grattacapi arriveranno tentando di affrontare la frontiera italiana perché occorre presentare anche un tampone antigenico effettuato 48 ore prima di entrare nel Paese e poi ne servirà un altro dopo i 5 giorni di isolamento fiduciario obbligatori. E proprio mentre navighiamo tra le varie modalità per farci il tampone pre-partenza, nei tempi giusti e senza che ci costi un occhio della testa, i giornali battono la notizia che, a differenza di Francia e Germania, il governo italiano non ha ancora riconosciuto il green pass di chi si è vaccinato in Regno Unito, anche se ci stanno lavorando. Io nel frattempo ho chiesto una copia tradotta in italiano, sperando che la situazione si sblocchi velocemente. Mentre buttiamo alla rinfusa qualche indumento in valigia, ci facciamo recapitare a casa ben sei tamponi (che non si sa mai) per la modica cifra di circa 200 euro. Ci dicono che i risultati ci arriveranno via mail entro 12 ore così, oltre alle istruzioni su come farci i tamponi, sul tavolo allineiamo anche orologio, calendario e mappa geografica per calcolare il momento preciso in cui strisciarci la barretta nel naso e arrivare in Italia entro le 48 ore successive.
Partenza prima dell’alba con destinazione Folkestone. L’Eurotunnel è un’esperienza nuova e sorprendentemente efficiente. Primo stop la dogana inglese: mostriamo i passaporti ed entriamo. Pochi metri più in giù il doganiere francese ci chiede anche il certificato vaccinale. Ma la app si blocca, l’ufficiale butta un occhio veloce di la dal vetro al primo codice che mi compare sul telefono e annuisce. Ha visto solo una dose ma a quanto pare gli basta e abbiamo il via libera ad attraversare il Channel Tunnel, con la macchina nella pancia del treno che corre sotto la Manica e ci rilascia liberi sull’autostrada francese.
Dopo 12 ore di viaggio ci fermiamo a dormire in un albergo nel centro di Colmar, in Alsazia, dove non ci chiedono niente, se non di indossare la mascherina. I francesi sono ligi all’uso delle protezioni all’interno dei locali, ma non fuori, e hanno bombolette di gel sparse ovunque, diversamente dal Regno Unito dove ormai le restrizioni sono state eliminate. La proprietaria dell’hotel mi spiega che gli affari non andrebbero male, perché i turisti principali, gli americani, stanno cominciando a tornare ma il futuro è incerto visto che da quando il governo ha cominciato a considerare il green pass per l’ospitalità il 50% dei loro clienti francesi ha cancellato le prenotazioni.
Ripartiamo pensando di attraversare la Svizzera che ha pedaggi meno costosi e viste rilassanti. Abbiamo tutti i documenti alla mano, vaccini e passaporti, ma alla frontiera non vogliono neanche vederli dopo che li mettiamo al corrente che siamo diretti in Italia e non sosteremo. Ci chiedono invece se abbiamo niente da dichiarare. Tipo? “Avete alcolici a bordo?”. Il nostro attimo di esitazione è rotto da un “accostatevi a lato”. Un altro ufficiale ci approccia con fare svelto, ma a sorpresa l’unica cosa che vuole da noi sono 47 franchi svizzeri, ovvero il prezzo dell’adesivo che ci appiccica sul vetro della macchina con cui potremo andare lisci sull’autostrada senza fermarci a pagare pedaggi fino a gennaio 2022.
Cosi rieccoci in pista tra baite e montagne e i 17 chilometri del tunnel del San Gottardo in preda a un ingorgo da cardiopalma. Il traffico è bloccato, le lancette dei nostri orologi ticchettano all’impazzata mentre siamo ormai alla “scadenza delle 48 ore” per presentare il nostro tampone antigenico alla dogana italiana. Ci si mette pure la pioggia battente a lavare via le nostre speranze di arrivare in tempo, ma prima di pensare a un piano alternativo ne approfitto per compilare per tutta la famiglia la lungaggine dell’EU passenger Locator Form che mi chiede di indicare il nostro punto di entrata in Italia. Dalla finestra che appare sul modulo online scelgo la Dogana di Chiasso-Brogena e impostiamo questa destinazione sul navigatore di Google.
La coda è estenuante e lentissima, la radio comincia a parlare italiano e un autocarro ci sbandiera dalla finestra un tricolore avanzato dagli europei (già, nella targa siamo inglesi ). Sentiamo l’adrenalina dell’approdo in patria mischiata al nervosismo di tutte le procedure burocratiche. Siamo pronti anche se in ritardo. Il nostro navigatore però ha un sussulto e un rerouting ci indica un nuovo percorso sul quale ci immettiamo nella speranza di tagliare i tempi verso la dogana. Attorno ci si aprono strade di campagna e venditori ambulanti di frutta. Ormai è chiaro che siamo in Italia, ma come siamo entrati? Ed ecco che ci troviamo davanti un casello doganale deserto ed in disuso, un varco fantasma a Ronago, che attraversiamo confusi e allibiti.
È a questo punto che un viaggio lungo e stancante si trasforma in un’odissea. Ci fermiamo per contattare telefonicamente la dogana di Chiasso-Brogena. Ma risponde un nastro registrato. Allora procediamo con il numero indicato sul sito del nostro ministero della Sanità. La chiamata non prende. A questo punto mi sento una clandestina in patria ma non ho scelta: devo procedere verso Firenze, la destinazione finale, dopo oltre 36 ore di viaggio. Ora dovrebbe cominciare l’isolamento fiduciario di 5 giorni ma qualcuno sa che siamo arrivati in Italia? Che controlli ci aspettano? Corriamo dei rischi per aver evaso la frontiera nostro malgrado?
Passa tutto il giorno e anche la prima notte in Italia e dopo una buona dormita a casa finalmente riusciamo a contattare il servizio info Covid della Regione Toscana usando un numero fisso. Riusciamo cosi a comunicare alle istituzioni che siamo in Italia, che siamo entrati dal Regno Unito e che non sappiamo che fare, adesso. La risposta arriva rassicurante, se abbiamo compilato il Plf adesso dobbiamo solo isolarci e fare un tampone tra 5 giorni. Sì, ma a chi lo presentiamo il risultato negativo? Chi è che controlla se ci isoliamo o meno? E poi, visto che il nostro green pass britannico non è riconosciuto, dobbiamo isolarci per 10 giorni? “Cinque giorni – ci rispondono dall’altro capo del filo – fate il tampone e tenete il risultato in caso vi fermino per un controllo, poi sarete liberi”.