Non solo i reati di mafia, ma anche quelli ambientali che sono “altrettanto odiosi” dovrebbero essere contenuti nella lista di quelli per i quali non scatta l’improcedibilità, sottoponendoli di conseguenza a tempistiche più stringenti in materia di prescrizione. Ne è convinto il co-portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, secondo cui “l’accordo sulla riforma della giustizia raggiunto nel consiglio dei ministri tiene fuori i reati ambientali che sono odiosi e pericolosi al pari di quelli di mafia perché mettono a rischio la salute e la pubblica incolumità oltre a distruggere ecosistemi.”
L’esponente verde motiva la sua affermazione, nel giorno in cui si è arrivati a un punto d’incontro in Consiglio dei Ministri tra le varie anime del governo sulla riforma della giustizia, spiegando che “i processi per disastro ambientale si rivelano spesso molto complessi dal punto di vista tecnico-scientifico e allocare tempi eccessivamente stringenti alla fase delle indagini significherebbe non avere a disposizione elementi di prova tali da andare oltre il ‘ragionevole dubbio’. Una riforma che non affronta il problema, che è alla base della lunghezza dei tempi dei processi, ossia quello della carenza di magistrati e del personale ausiliario”.
E proprio sulla scarsità di toghe si sofferma Bonelli per spiegare che, così come è stata pensata la riforma, numerosi processi, tra cui quelli ambientali, rischiano di finire in prescrizione per mancanza di tempo e risorse: “L’Italia – continua l’esponente ecologista – ha 12 magistrati ogni 100mila abitanti, un rapporto tra i più bassi in Europa. La Germania ad esempio ne ha 24. I processi devono essere veloci, ma questo non può realizzarsi solo con l’accorciamento dei tempi, ma anche con una nuova organizzazione della magistratura, a partire dal personale. Processi che riguardano i disastri ambientali e sanitari non possono portare a una prescrizione senza che sia accertata la responsabilità”.
E per fare un esempio concreto, ricorda il caso Taranto: “Il processo Ambiente Svenduto, che ha coinvolto a Taranto oltre quaranta imputati, costituisce un esempio di processo estremamente complesso e articolato rispetto al quale una tempistica eccessivamente contratta porterebbe non a un processo breve, ma alla morte del processo stesso, in assenza di un rafforzamento degli uffici giudiziari”.