Antigone ha presentato nelle scorse ore il consueto rapporto di metà anno sulle carceri italiane, frutto delle visite agli istituti di pena e dell’osservazione diretta di un centinaio di volontari dell’associazione. Si conferma, oltre al solito problema del sovraffollamento penitenziario, una serie di criticità e di arretratezze del sistema carcerario italiano.
Antigone ha voluto portare proposte concrete per indirizzare la vita interna verso quel dettato costituzionale che la vuole tesa alla reintegrazione del condannato nella società. E lo ha fatto presentando un complesso documento di riforma del regolamento penitenziario oggi in vigore, il quale risale all’inizio del millennio e necessita di un adeguamento al mondo esterno ormai mutato e agli insegnamenti appresi durante gli ultimi due decenni.
Il documento è pubblicamente accessibile sul sito di Antigone ed è troppo articolato perché possa essere riassunto nella sua globalità. Tocca molti e diversi ambiti della vita in carcere. Ne cito qui due, che mi sembrano restituire bene il senso delle riforme necessarie.
Il primo è quello della tecnologia e dell’utilizzo di strumenti di comunicazione al passo con i tempi. Il primo regolamento penitenziario, risalente al 1976, fissava in 6 minuti settimanali il limite massimo per comunicare telefonicamente dal carcere con i propri cari. Erano tempi nei quali le telefonate erano qualcosa di ben più raro e costoso di adesso. Nel 2000 il limite fu portato a dieci minuti. Ma oggi anche questo non ha più alcun senso. Così come non ne ha la differenziazione tra numeri fissi e numeri mobili o la tariffa al consumo quando tutto il mondo usa tariffe forfettarie. Non sto parlando di fantascienza: in altri paesi europei gli apparecchi telefonici sono a disposizione nelle stanze di pernottamento e la persona detenuta può accedervi attraverso una scheda personale con numeri autorizzati.
Ciò, tra l’altro, taglierebbe alla radice ogni problema legato al traffico illecito dei cellulari in carcere. Non si creda che tale traffico sia destinato precipuamente a percorsi criminali e a impartire ordini illeciti: quasi sempre assistiamo al paradosso di un comportamento non lecito teso a parlare con il proprio figlio o a salutare un genitore anziano. Se davvero miriamo a un’esecuzione penale non vendicativa e tesa al recupero sociale, non c’è alcun motivo per proibire videochiamate, posta elettronica, uso di personal computer per lo studio e l’informazione, tutto naturalmente con i dovuti controlli.
Il secondo ambito del quale scelgo qui di parlare è quello, purtroppo estremamente attuale, della violenza. Il regolamento carcerario deve prevedere norme specifiche di prevenzione e repressione dell’uso della violenza nel confronti delle persone in custodia. Deve prevedere l’introduzione di strumenti di identificazione del personale, la videoregistrazione degli ambienti (che gli eventi di Santa Maria Capua Vetere ci hanno dimostrato essere essenziale), la predisposizione di meccanismi di denuncia che mettano il detenuto – che oggi ha come quasi unica alternativa quella di rivolgersi allo stesso personale penitenziario – al sicuro da ogni possibile ritorsione.
Queste e molte altre le proposte elaborate da Antigone per un nuovo regolamento penitenziario, tutte supportate da indicazioni giurisprudenziali o di organismi sovranazionali. Ci auguriamo che si possa aprire presto su questo un dialogo costruttivo con le forze politiche.