Economia & Lobby

Cdp e la “grana” delle partecipazioni in perdita. Il nuovo a.d. Scannapieco chiamato a fare chiarezze sulle scelte degli scorsi anni

Dario Scannapieco, fresco di nomina da parte di Mario Draghi, alle prese con una zavorra da mezzo miliardo di euro di perdite da riassettare. Si va verso una rottura della partnership con il fondo Fsi di Maurizio Tamagnini

Tra i dossier finiti sul tavolo del nuovo amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti (Cdp), Dario Scannapieco, ce n’è uno piccolo, ma dal grande contenuto simbolico. È quello del ruolo della Cassa sugli investimenti nel capitale delle aziende. Ruolo che in passato ha avuto contorni non sempre definiti e coerenti e che di sicuro il nuovo capo-azienda del braccio finanziario del Tesoro vorrà risistemare. Il piccolo ma significativo dossier è quello di Cdp Equity, l’ex Fondo strategico italiano che nel 2016 ha cambiato denominazione in quella attuale e che non ha certo brillato quanto a risultati. O meglio, l’investimento pubblico nelle cosiddette aziende strategiche è stato finora un sonoro flop per Cdp.

Solo l’anno scorso Cdp equity ha riagguantato un piccolo utile di 40 milioni di euro, interrompendo per ora una striscia negativa pesante. Dal 2016, infatti, la società di Cdp che investe in capitale delle imprese ha collezionato la bellezza di oltre mezzo miliardo di perdite cumulate. Un bagno di sangue, figlio soprattutto delle svalutazioni a più riprese di due grandi asset; Saipem e Ansaldo Energia. La prima Saipem suscita tuttora molte perplessità. Cdp equity acquistò nel 2016 il 12,5% del capitale della società del gruppo Eni, pagandola oltre 900 milioni. E lo fece poco prima che Saipem crollasse in Borsa sullo scandalo delle mancate svalutazioni, effettuate solo dopo l’intervento di Cdp. Da allora è stato un calvario con la società dell’esplorazione petrolifera che ha continuato a inanellare perdite per le continue rettifiche dei bilanci. Di fatto l’operazione ha permesso a Eni (partecipata a sua volta dalla stessa Cdp) di deconsolidare l’alto debito di Saipem dai suoi bilanci, girando la patata bollente a Cdp equity. Una partita di giro tra due partecipate dello Stato che hanno salvato Eni, a discapito però dei conti di Cdp equity.

L’altro grande passo falso è stato l’investimento in Ansaldo Energia. La società è andata in crisi con la crisi del mercato qualche anno fa e ha cominciato a perdere ricavi e a cumulare perdite. Solo tra il 2018 e il 2020 le perdite del gruppo sono state di oltre 600 milioni con il debito finanziario a sfiorare il miliardo di euro. Certo crisi del mercato, ma anche qui si è verificato il passaggio discutibile da una partecipata del Tesoro a un’altra. Finmeccanica (oggi Leonardo, ndr) che vendette la sua quota al vecchio Fondo strategico italiano, incassando una lauta plusvalenza, deconsolidando debito e girando le sorti di Ansaldo alla società controllata da Cdp. Poi la vendita del 40% ai cinesi di Shangai Electric che non hanno dato seguito all’aumento di capitale da 400 milioni tutto sul gobbo di Cdp Equity. Ora con il primo semestre del 2021 le cose sembrano migliorare. I ricavi sono saliti fortemente a 678 milioni nel semestre e il margine operativo lordo si è attestato a 56 milioni. Ma di certo i bilanci di Cdp equity hanno dovuto, fino a tutto il 2020, assorbire tutti i contraccolpi della crisi del settore delle turbine e di scelte manageriali non sempre felici.

Ma se i due più grandi asset hanno contribuito pesantemente al mezzo miliardo di perdite della società, molti altri investimenti non hanno brillato. Da Valvitalia, dove Cdp equity ha investito nella holding della famiglia Ruggeri, e non nella società operativa, che stenta parecchio con tre anni, dal 2017 al 2019, in continua perdita. Valvitalia tra l’altro lavora in un settore di nicchia nelle valvole antiincendio, un settore piccolo e frammentato e in crisi. E poi ancora il flop finanziario di Trevi, la compagnia che opera nelle strutture di sottosuolo dell’industria petrolifera, finita prima in concordato e poi salvata da una ristrutturazione pesante del debito. Senza contare gli ultimi screzi con Salini in Webuild dove Cdp equity, con Intesa Sanpaolo e Unicredit, è entrata nel capitale a supporto del Progetto Italia e che di recente ha votato contro alla ricca remunerazione di Pietro Salini del 2021.

Risultati quindi deludenti quanto a performance, ma anche una certa discrezionalità nelle scelte delle aziende davvero strategiche in cui ha un senso che il capitale pubblico intervenga. Perché investire nella holding (Inalca) della famiglia Cremonini?. Perché investire negli alberghi di Rocco Forte, anziché in altre strutture? E perché scegliere la holding della famiglia Ruggeri per investire nel settore piccolo e frammentato delle valvole anti-incendio? Tutte domande che probabilmente il nuovo ad di Cdp si porrà nei prossimi mesi.

Verso la rottura con Tamagnini – Così come andrà chiarito il ruolo che Cdp equity ha, come azionista di minoranza, del fondo Fsi, guidato da Maurizio Tamagnini. È molto probabile, secondo fonti interpellate da il Fattoquotidiano.it, che nei prossimi mesi si vada a un chiarimento dei rapporti che legano Cdp equity al fondo Fsi. Rapporti che vedono Cdp soggetto passivo nelle scelte d’investimento. L’ex banchiere di Merrill Lynch ha con i suoi soci la maggioranza del capitale di Fsi Sgr con Cdp equity al 39% e Poste Italiane con il 9%. Soci che apportano capitale pubblico senza avere voce in capitolo nelle scelte di investimento del fondo di Tamagnini. Una situazione quanto meno ambigua. Tamagnini, ad esempio nel 2019, comprò quote di capitale di Kedrion, comprando azioni da Sestant, la holding della famiglia Marcucci. Una boccata d’ossigeno per i Marcucci che erano indebitati con le banche. Soldi quindi non entrati nelle casse della società operativa, ma finiti nelle tasche della famiglia Marcucci.

Tamagnini ha anche investito in Missoni e anche qui Cdp equity si ritrova in qualche modo compartecipe della scelta. Perché Missoni e non un altro brand della moda?Stessa situazione vede coinvolta Cdp equity nelle scelte del fondo Quattro R. Cdp equity partecipa a Quattro R con una quota di capitale del 40% e Quattro R ha investito in Trussardi, in chiara difficoltà economica. Scelta coerente con la politica di investimento strategico del forziere del Tesoro italiano? Tutte domande che il nuovo ad di Cdp, Scannapieco, si dovrà porre in quel riassetto complessivo del braccio finanziario dello Stato che con il Recovery Fund imporrà scelte strategiche chiare ed efficaci.