Ventisei emendamenti governativi, il subemendamento che recepisce l’accordo di ieri, sei proposte della maggioranza su cui c’è il parere favorevole del Governo, nonché quelle (rimaste in piedi) delle forze di opposizione. Ma nel pacchetto della riforma penale approvato in Commissione giustizia alla Camera c’è un grande assente: l’emendamento del M5s che avrebbe permesso di svolgere anche in Appello i processi per reati minori – quelli a citazione diretta, puniti al massimo con quattro anni di carcere – di fronte a un solo giudice invece di tre. Una norma semplice ed efficace per velocizzare i processi, aumentando le risorse umane a disposizione delle Corti d’Appello, su cui ha lanciato l’allarme nelle scorse settimane il commissario europeo alal Giustizia Didier Reynders (“Il numero dei giudici italiani resta uno dei più bassi nell’Ue”).

La proposta, già avanzata dai Cinque stelle sotto il governo Conte 2, aveva ottenuto anche l’ok della ministra Cartabia, ma non è stata accolta – riferisce al fatto.it il capogruppo M5s in Commissione Eugenio Saitta – “per contrarietà delle altre forze politiche”. Ma chi avrebbe interesse a opporsi a una norma di puro buonsenso, priva di implicazioni ideologiche? La contrarietà, a quanto pare, è stata manifestata in particolare da Forza Italia, Lega e Italia Viva, che si sono fatti interpreti delle preoccupazioni di alcuni ambienti dell’avvocatura. Cestinata, quindi, una delle poche proposte che avrebbe avuto un impatto sostanziale sul funzionamento della macchina della giustizia (oltre all’abolizione del divieto di reformatio in peius, cioè di irrogare una pena più pesante in Appello in caso di impugnazione del solo imputato).

Il voto in Commissione – Questa mattina i due relatori (Sarti e il dem Franco Vazio) hanno depositato il testo dell’accordo siglato ieri in Consiglio dei ministri sulla prescrizione, sotto forma di un subemendamento agli emendamenti del Governo, che è stato approvato alle 19. Votati anche gli altri emendamenti rimasti sul tavolo, quelli “sopravvissuti” dopo che tutte le forze di maggioranza hanno ritirato i propri. Si tratta, appunto dei 26 emendamenti governativi che tecnicamente costituiscono la riforma Cartabia (intervengono sul ddl Bonafede che fa da testo base), dei 6 subemendamenti dei partiti su cui c’è parere favorevole del governo (e quindi non sono stati ritirati) nonché di quelli, rimasti in piedi, delle forze di opposizione (43 di Fratelli d’Italia e 16 de L’alternativa c’è), questi ultmi tutti respinti.

Verso la fiducia – Si è registrato anche un tentativo di ostruzionismo da parte delle opposizioni, con gli esponenti di FdI (Ciro Maschio, Carolina Varchi e Gianluca Vinci), Andrea Colletti di L’Alternativa c’è e l’ex M5s Piera Aiello che prima hanno svolto una serie di interventi con il richiamo al regolamento – allo scopo di impedire l’inizio dell’esame – poi sono intervenuti a lungo su ciascuna delle proposte di modifica. In Aula il testo arriverà domenica alle 14, con la questione di fiducia che già incombe: “Dovrebbe esserci un provvedimento di fiducia – ha spiegato il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) – quanto meno per rendere l’approvazione compatibile con i tempi dell’Aula, che è molto intasata. L’importante è portare il provvedimento a casa”. Verso sera al Tg3 parla anche la Guardasigilli, che si dice certa che non ci saranno defezioni: “Abbiamo preso un impegno con tutte le forze politiche della maggioranza, anche in termini di comportamenti in Parlamento, e ci auguriamo, come è auspicabile, che l’esame si concluda in pochi giorni”.

Gli emendamenti approvati/1: diritto all’oblio – Approvate anche le proposte dei partiti “salvate” dal Governo. La prima, a firma di Enrico Costa (Azione) e Riccardo Magi (+Europa) prevede “che il decreto di archiviazione, la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione, costituiscano titolo per l’emissione del provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio degli indagati o imputati”. Il diritto all’oblio è stato introdotto nel 2016 dalla normativa europea sulla tutela della privacy (Gdpr), all’articolo 17. Tuttavia, ha ricordato Costa, presentando l’emendamento recentemente a un personaggio politico assolto che aveva chiesto al Garante della privacy la deindicizzazione delle notizie relative al processo a suo carico, era stato risposto che era prevalente l’interesse generale alla conoscenza delle notizie sul suo procedimento. Con la nuova norma, la sentenza di assoluzione o non luogo a procedere e il decreto di archiviazione, costituiranno titolo per l’emissione “in automatico” di un provvedimento di deindicizzazione da parte del Garante della privacy, che obbligherà i motori di ricerca a rimuovere tali notizie.

Gli emendamenti approvati/2: arresto in flagranza per l’ex sotto casa – Un altro emendamento approvato, a prima firma Lucia Annibali (Iv), introduce l’arresto in flagranza per il marito o ex marito o compagno violento che viola i provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Queste violazioni, dal 2001, sono perseguiti come reati autonomi e non più come aggravanti, ma finora non consentono l’arresto in flagranza. “Sono situazioni che purtroppo si sono verificate di frequente negli episodi di violenza verso le donne da parte di ex mariti o ex compagni”, ha detto la proponente. L’arresto in flagranza, quindi, è volto a evitare che dalla minaccia l’”ex” passi ai fatti con esiti irreversibili, come in passato è accaduto alla stessa Annibali, sfregiata nel 2013 dall’acido gettatole in volto da uomini mandati dall’ex compagno.

Gli emendamenti approvati/3: udienza pubblica anche su richiesta pm o parte civile – Il testo del Governo prevedeva che il giudizio d’Appello d’ora in poi si svolgesse sempre con rito in camera di consiglio, vale a dire senza la presenza del pubblico, a meno che l’udienza pubblica non fosse chiesta dall’imputato o dal suo difensore. Tra gli emendamenti passati in Commissione c’è però anche quello del M5s – a prima firma del deputato ed ex sottosegretario Vittorio Ferraresi – che estende la facoltà di chiedere l’udienza pubblica anche “all’appellante”, che può essere, oltre all’imputato, il pubblico ministero o la parte civile. “Grazie al nostro emendamento, che è stato approvato, il diritto di richiedere la trattazione orale viene riconosciuto alle parti che hanno proposto l’impugnazione, oltre che – in ogni caso – all’imputato e al suo difensore”, spiega il deputato pentastellato Roberto Cataldi.

Salvini: “Smontata la riforma Bonafede” – Sui giornali del mattino, nel day after si ritrova il più classico dei panorami in cui hanno vinto tutti. Dai partiti si accavallano voci a far propria la mediazione raggiunta ieri sulla riforma penale: per il M5s la vittoria è aver salvato dall’improcedibilità i reati di mafia, per tutti gli altri aver pensionato la legge Bonafede che bloccava la prescrizione dopo il primo grado. Matteo Salvini, ad esempio, alla Stampa si dice “soddisfatto di aver smontato la riforma Bonafede (approvata dal governo giallo-verde di cui era vicepremier, ndr)” e attacca gli ex alleati 5 stelle: “Ad ogni Consiglio dei ministri creano problemi, contiamo sul fatto che Draghi di pazienza ne abbia di meno. Non è possibile che ogni volta questi minaccino crisi di governo, anche ieri dicevano “ritiriamo i ministri, non votiamo…”. Per loro meno si produce e si lavora e meglio è, sono fuori dal mondo”.

Bonafede: “Salvati i processi di mafia” – Su Repubblica invece è il diretto interessato, l’ex ministro Alfonso Bonafede, a commentare l’intesa in termini positivi. “In questa maggioranza, soli contro tutti, abbiamo blindato i processi di mafia, e questo risultato ha un solo nome, ed è il Movimento 5 stelle, e una sola firma, quella di Giuseppe Conte“, dice. Quello della ministra Cartabia “non è il nostro progetto originario“, ammette, ma la vittoria di Conte è stata “blindare i processi di mafia, di terrorismo e di violenza sessuale, e mettere in maggiore sicurezza tutti gli altri che rischiavano di andare in fumo”. E anche la relatrice pentastellata in Commissione Giustizia, la deputata Giulia Sarti, rivendica al Corriere: “Senza di noi, processi per mafia, terrorismo, violenza sessuale aggravata, traffico internazionale di droga, voto di scambio politico-mafioso e tutti i reati aggravati dal metodo mafioso o per aver agevolato le mafie, sarebbero stati cancellati. Questo accordo serve per tutelare le vittime e i cittadini onesti“.

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