Il ritorno in presenza piace a tutti, ma la prospettiva di tornare a fare lezione da remoto è dietro l’angolo: poche Regioni hanno la possibilità, per le scuole superiori, di far tornare i ragazzi in classe se dovranno stare lontani un metro l’uno dall’altro. Decaro: “Non ce la faremo a tenere tutti i ragazzi nelle aule". Giannelli (Anp): "Dad inevitabile se non sarà possibile assicurare il distanziamento per le note carenze di spazi e di personale, oltre che per quelle del trasporto pubblico locale”. Poi c'è il tema delle classi pollaio: per sdoppiarle servono più docenti, ma Sinopoli (Flc Cgil) denuncia "un chiaro disinvestimento da parte di questo governo"
La scuola in presenza piace a tutti, ma la prospettiva di tornare a farla da remoto è dietro l’angolo. Nessuno lo vuol dire, per lasciare l’illusione che la didattica a distanza sparirà, ma la realtà è un’altra: poche Regioni hanno la possibilità, per le scuole superiori, di far tornare i ragazzi in aula se dovranno stare lontani un metro l’uno dall’altro. La conferma arriva dagli assessori all’Istruzione e dai dirigenti degli uffici scolastici regionali, ma anche dal presidente dell’Anci Antonio Decaro. Intanto il “piano Scuola”, annunciato, è stato ancora rinviato. Fatto il passaggio formale in Conferenza Stato-Regioni, dovrà arrivare in Consiglio dei ministri per poi finire nelle mani dei presidi. L’impressione per docenti e dirigenti, ma anche per i sindacati, resta tuttavia quella che siamo siamo punto a capo. A loro parere, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha redatto un protocollo che ricalca il precedente, ma non ha risolto il problema della carenza di aule e il nodo dei trasporti.
Il primo a dirlo è il dirigente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: “Quello che, a nostro avviso, risulta assolutamente imprescindibile è l’assunzione di responsabilità del decisore politico circa la scelta tra didattica in presenza e didattica a distanza. Quest’ultima modalità, infatti, per quanto demonizzata e impopolare, sarà inevitabile se non sarà possibile assicurare il distanziamento per le note carenze di spazi e di personale, oltre che per quelle del trasporto pubblico locale”. Il numero uno dei presidi è da settimane che suona il campanello d’allarme a vuoto. “Il prossimo anno scolastico – continua Giannelli – in tal modo, potrebbe finalmente registrare un netto miglioramento rispetto ai precedenti due. Diversamente, senza decisioni incisive, servirà a ben poco la sottoscrizione di un protocollo di intesa praticamente identico a quello dello scorso anno con il conseguente ripetersi delle criticità già subìte dalle scuole”.
Il presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani, Antonio Decaro, è tranchant: “Se ripartiamo con il distanziamento alle secondaria di secondo grado non ce la faremo a tenere tutti i ragazzi nelle aule. Non si possono usare i laboratori come classi per sempre”. La questione centrale sta proprio qui e il Comitato tecnico scientifico di Franco Locatelli non ha ancora chiarito nulla in merito alle indicazioni emerse dal verbale del 12 luglio scorso, nel quale si raccomandava il distanziamento senza renderlo sostanzialmente obbligatorio. Questo il testo ufficiale: “Laddove non sia possibile mantenere il distanziamento fisico per la riapertura delle scuole, resta fondamentale mantenere le altre misure non farmacologiche di prevenzione, ivi incluso l’obbligo di indossare nei locali chiusi mascherine di tipo chirurgico”.
Gli assessori regionali all’Istruzione sono pronti a fare il possibile per eliminare la didattica a distanza, ma se alla primaria e alle medie non ci saranno problemi, alle superiori gli spazi mancano. Lo conferma l’assessore all’Istruzione Roberto Lagalla che in Sicilia è pronto a fare di nuovo accordi con la Conferenza episcopale italiana per trovare aule. Non lo nasconde la dirigente dell’Usr della Lombardia Augusta Celada che pur dicendo che il distanziamento è stato rispettato, non cela il fatto che si sono usati laboratori, corridoi, palestre e aule magne.
La questione si lega anche al tema delle cosiddette classi pollaio che non sono ancora sparite. Qualcosa, su questo fronte, si muove nel palazzo di viale Trastevere. Il ministro Bianchi, in queste settimane, ha chiesto una mappatura e i risultati ora sono nelle sue mani: il 6% delle scuole secondarie superiori ha più di 27 alunni per aula, così come il 27% ne ha meno di 15 (la media nazionale è 20-22 alunni). In primo luogo, andrebbero rivisti i criteri di formazione delle classi, secondo gli assessori regionali ma anche per i vertici degli Usr. Ad ammettere questo problema è la dirigente dell’Usr Veneto, Carmela Palumbo: “Anche se enti locali moltiplicassero pani e pesci, abbiamo criteri di formazione delle classi che ci costringono a tenere alto il numero di alunni”.
Una matrioska di questioni che non lascia presagire una buona partenza. Se anche ci fossero gli spazi, infatti, servirebbe più organico. Al ministero di viale Trastevere rassicurano che lo sforzo per il prossimo anno c’è stato: sono stati confermati gli stessi numeri di insegnanti nonostante il calo demografico. La questione però resta delicata, sottolinea la dirigente dell’Usr Lombardia Augusta Celada: “Abbiamo parametri che vedono coefficiente ancora alti ma dobbiamo guardare anche al calo demografico. Se si riduce questo coefficiente aumentiamo la spesa fissa dello Stato per il personale con il rischio che tra qualche anno sia in esubero”.
Anche la questione trasporti è un nervo scoperto. Il Mit per potenziare il trasporto pubblico ha messo a disposizione degli enti locali 200 milioni per i servizi aggiuntivi e 168 milioni a titolo di anticipazione. Lo stesso ministro Patrizio Bianchi ha ribadito che con il decreto “Sostegni Bis” sono stati messi sul piatto 450 milioni per il nodo trasporti e prevista la possibilità di fare convenzioni con i privati. Un provvedimento che ha trovato qualche perplessità da parte del presidente di Asstra, l’associazione datoriale nazionale delle aziende di trasporto pubblico locale che a ilfattoquotidiano.it nei giorni scorsi ha detto: “I 450 milioni di euro sono destinati al finanziamento dei servizi aggiuntivi per fare fronte alle limitazioni poste dal ridotto coefficiente di riempimento dei mezzi, in coerenza con quanto determinato dai tavoli prefettizi. Noi non abbiamo pregiudiziali nei confronti dei privati, ma è evidente che i servizi aggiuntivi possono essere attivati dove ci siano le condizioni tecniche. Per esempio, non è pensabile che autobus di linea possono sostituire una metropolitana nel centro delle nostre città”.
Al ministero dei Trasporti non ne vogliono sapere di essere accusati di immobilismo: “Siamo in perenne contatto con le Regioni e si svolgono continue riunioni tra ministri per la ripartenza della scuola. Mercoledì si sono visti Giovannini, Maria Stella Gelmini e Patrizio Bianchi”. Manca solo un tassello: le risposte del Comitato tecnico scientifico ai quesiti posti dal ministero di Porta Pia che ha richiesto ipotesi su diversi scenari alla luce delle vaccinazioni e tenuto conto dell’andamento dei contagi.
I sindacati sottolineano ciò che non è stato fatto, ma anche ciò che è persino peggiorato con il governo Draghi: “Sul fronte delle risorse – sottolinea il segretario della Flc Cgil Francesco Sinopoli – dobbiamo registrare un chiaro disinvestimento da parte di questo governo. Basti pensare che sull’anno scolastico 2020/2021 per l’organico aggiuntivo erano previsti un miliardo e 850 milioni di euro, mentre per il prossimo anno sono previsti solo 350 milioni. L’eventuale eliminazione di questo personale aggiuntivo non va sottovalutata, rischia di costringere le scuole a ricomporre classi già sdoppiate l’anno scorso, in assenza di vaccinazione degli alunni e senza alcuna garanzia di distanziamento”. Sinopoli non le manda a dire al ministro: “Il rientro in presenza non può diventare uno spot, non può essere soltanto evocato, ha bisogno di azioni concrete: non c’è più tempo, il governo investa sulla scuola in presenza”.