‘Ndrangheta, politica, massoneria e componente riservata delle cosche: nonostante le molte assoluzioni, regge l’accusa nel processo “Gotha”. Dopo quattro anni di udienze, oltre un mese di requisitoria, un mese e mezzo di arringhe difensive e 9 ore di camera di consiglio, è arrivata in aula bunker la sentenza di primo grado.
Il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Silvia Capone, ha condannato a 25 anni di carcere Paolo Romeo, l’avvocato ed ex parlamentare del Psdi ritenuto una delle due “teste pensanti” della ‘ndrangheta reggina.
È senza dubbio lui, secondo la Dda, il principale imputato del processo istruito dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Giuseppe Lombardo. Un processo che ha visto impegnata mezza Direzione distrettuale antimafia. I due magistrati, infatti, sono stati affiancati dai sostituti procuratori Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Sara Amerio e Giulia Pantano.
Oltre a Romeo è stato giudicato colpevole anche l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra condannato a 13 anni di carcere. È stato assolto, invece, l’ex senatore di Forza Italia Antonio Caridi per il quale la Dda aveva chiesto 20 anni di reclusione perché accusato di essere stato sostenuto dalla cosca De Stefano e di avere operato “in modo stabile, continuativo e consapevole a favore del sistema criminale”. Nel 2016 Caridi ha scontato anche diversi mesi di carcere dopo che il Parlamento ha concesso l’autorizzazione a eseguire l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti.
È stato assolto anche l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa per il quale era stata chiesta la condanna a 7 anni di carcere.
Riunendo le più importanti inchieste antimafia (“Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio”), eseguite nel 2016 dai carabinieri, dalla polizia e dalla guardia di finanza, “Gotha” è stato il primo maxi-processo alla cupola della ‘ndrangheta dai tempi dell’inchiesta “Olimpia” che aveva portato, tra l’altro, alla condanna definitiva di Paolo Romeo per concorso esterno.
Complessivamente il Tribunale ha condannato 15 imputati e ne ha assolti altri 15. Per 11 di loro, a fine maggio, era stata chiesta l’assoluzione anche dalla Procura. Alla sbarra c’era il “direttorio” della ‘ndrangheta, la “componente riservata” delle cosche che puntava ad alterare “l’equilibrio degli organi costituzionali”. Dal Comune alla Regione passando per la Provincia e la Città Metropolitana, stando all’impianto accusatorio, decidevano tutto gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano (già condannato in appello con l’abbreviato, ndr), “soggetti ‘cerniera’ che interagiscono tra l’ambito ‘visibile’ e quello ‘occulto’ dell’organizzazione criminale”.
Per i pm, sono loro che hanno trasformato Reggio Calabria in un “enorme laboratorio criminale”. Quanto emerso dal processo, infatti, è un “sistema di potere ambiguo” che, stando ai collaboratori di giustizia sentiti in aula, è caratterizzato da “promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti istituzionali”. I pm hanno ricostruito “una lunga stagione di sistematica penetrazione del tessuto politico-amministrativo locale, regionale, nazionale e sovrannazionale”.
Sono stati condannati anche il prete di San Luca don Pino Strangio (9 anni e 4 mesi di carcere) e l’avvocato Antonio Marra (e 17 anni di reclusione ), ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo.
Due anni, invece, sono stati inflitti all’ex dirigente comunale ai Lavori pubblici Marcello Cammera che, però, è stato assolto dall’associazione mafiosa, mentre il commercialista Giovanni Zumbo ha rimediato 3 anni e 6 mesi di reclusione. È lo stesso Zumbo, in odore di servizi segreti, che era stato condannato nel processo “Piccolo Carro” per essere stato la talpa dei boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle.
Secondo la Dda, le cosche reggine, e principalmente la famiglia De Stefano di Archi, sono riuscite a infiltrarsi e insinuarsi nelle istituzioni per confondersi con esse. Il processo ha di fatto ricostruito la stagione di centrodestra in riva allo Stretto. Una stagione iniziata nel 2002 con la vittoria alle comunali del sindaco di Giuseppe Scopelliti e conclusa nel 2014 quando l’ex primo cittadino, già eletto presidente della Regione, è stato condannato in via definitiva per i disastri nei conti del Comune di Reggio Calabria che nel frattempo, due anni prima (nel 2012), era stato sciolto per contiguità con le cosche mafiose.
La ‘ndrangheta, in sostanza, ha subito una trasformazione “da interlocutore dell’istituzione a istituzione vera e propria”. Le considerazioni del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo sono state pronunciate durante la requisitoria in aula bunker dove il procuratore Bombardieri il 26 maggio scorso aveva spiegato come “si è trattato di un gioco delle parti andato in scena grazie anche a una diffusa ipocrisia sociale. Un palcoscenico di cui molti sapevano e di cui la maggior parte faceva finta di non sapere”.
“Se la cattiva politica – erano state le sue parole – scende a patti con la ‘ndrangheta gli effetti non potranno essere quelli che si sono visti: una città povera, un’economia senza sviluppo, una delle pressioni fiscali più elevate in Italia, una gioventù in fuga, disillusa, frustrata e depressa”.