Squillò il mio telefono la sera del 29 luglio di otto anni fa. “Padre Paolo Dall’Oglio è scomparso” annunciò concitata la voce dall’altro capo della cornetta. Era rientrato in Siria pochi giorni prima, dopo esservi stato espulso dal regime di Bashar al Assad per aver scritto degli articoli nei quali chiedeva l’apertura democratica del paese.

Aveva passato i 30 anni prima a lavorare per il dialogo islamo-cristiano. Una opera cominciata con la scoperta, negli anni Ottanta, dei ruderi del monastero di Mar Musa su una montagna nel deserto del Nabek. Da solo, quel giovane gesuita italiano si era messo a ricostruire quel luogo attorno al quale si ricostituì una comunità monastica dedita alla convivialità.

Conoscere la storia di Dall’Oglio significa conoscere quella di un paese, la Siria, al quale questa figura è legata indissolubilmente. Non conoscerlo, ignorarlo come sta avvenendo, significa invece dimenticarsi anche di un intero paese.

Ormai dodici anni fa, percorsi quelle scalinate in pietra che si arrampicano su per quella montagna priva di vegetazione nel deserto del Nabek. Vidi questo uomo di cui avevo sentito tanto parlare a Damasco. Il giorno dopo, invitò la mia comitiva alla messa del mattino per una preghiera in comune. “Reciteremo il Padre Nostro” disse. “Padre, ma io sono musulmano, non posso” replicai. Con un gran sorriso e parole indimenticabili, Dall’Oglio spiegò che quella preghiera, tanto cara a Gesù, è una invocazione neutra in cui si ringrazia ‘il padre’ e nella quale non è dichiarata nessuna delle tre rispettive verità dei monoteismi. E’ una preghiera abramitica, cioè che segue il percorso verso la casa di Abramo, padre delle fede, alla ricerca di quell’unicità che è rappresentata dal padre di tutti i credenti.

Su Dall’Oglio si è detto e scritto di tutto. Osteggiato dal regime siriano, e da quella chiesa collusa con il governo di Damasco, è stato descritto come sostenitore dei fondamentalisti nonostante da questi si sia recato per chiedere la liberazione di alcuni ostaggi nella città di Raqqa. “Chiedo che sosteniate i giovani democratici siriani” aveva gridato in tutte le sedi nei due anni precedenti alla sua scomparsa. Era un “esilio amaro” diceva, perché lontano da quella Siria amata di cui conosceva lingua e popolo. Ad essa, alla Siria e ai siriani, guardava con sguardo risoluto e disperato.

Nonostante tutto gli fosse contro, avanzava, Dall’Oglio, nella sua battaglia in solitaria. Lui è ‘abuna‘, nostro padre, lo chiamavano in arabo musulmani e cristiani. Abuna Paolo, che verso il deserto camminava e in una città nel deserto è scomparso: alla ricerca del Signore e della giustizia per un popolo abbandonato. “Solo nel vuoto del deserto, nell’assenza di ogni forma animale e vegetale, lo spirito si può innalzare ed entrare in comunione con il creato”. Nel pieno della luce, Paolo.

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