“Cambiare la struttura urbanistica di una città significa cambiarne la morale” sosteneva lo scrittore napoletano Raffaele La Capria. Aveva ragione, non a caso fu co-sceneggiatore di Le mani sulla città, film cult degli anni ’60 diretto da Dino Risi.

La speculazione edilizia, conosciuta come el pelotazo urbanístico in terra iberica, ha guidato molta parte della pianificazione urbanistica lungo i litorali della Costa di Levante e dell’Andalusia. Quella ricchezza da conquistare col cemento ha prodotto Benidorm, non distante da Alicante, definita – con qualche eccesso di ottimismo – la ‘New York del Mediterraneo’.

Manhattan, si sa, è cosa diversa dalla costa alicantina, il collante sarebbe lo skyline, l’insieme di grattacieli spuntati a pochi passi dall’arenile giallo ocra nel pieno degli anni del regime franchista. Leggenda narra che l’atto fondativo della trasformazione urbanistica sia un avventuroso viaggio in Vespa di Pedro Zaragoza Orts, allora sindaco di quella che era una cittadina di pescatori, per raggiungere i palazzi del potere di Madrid e ottenere il placet per la creazione della città-simbolo del turismo massificato.

Da allora le macchine che impastano malta e calcestruzzo non si sono mai fermate, ogni nuovo progetto doveva superare in imponenza le torri già esistenti. Un susseguirsi di record, con una ideale asticella da porre sempre più su, come in una gara di salto in alto. Prima 47 piani, poi 52, e ancora tre grandi Vele per unire la costa mediterranea a Dubai.

Benidorm è divenuta un ‘modello’, carico di pionerismo per alcuni, esempio perfetto di distruzione del territorio per altri. Quella corsa verso “l’oro” non ha conosciuto battute d’arresto, più forte della “burbuja”, la grande bolla immobiliare esplosa nel 2007, e della pandemia.

È in quel solco già tracciato che si inserisce il progetto “Intempo”, l’edificio alto 198 metri, con 47 piani, consegnato in questi giorni alla città. Una lunghissima M, due linee dorate che si stagliano verso il cielo, unite al vertice da una struttura incastonata tra i pilastri degli ultimi piani a forma di diamante. Una formidabile icona del kitsch, nella sostanza 256 appartamenti da piazzare ad un prezzo che oscilla dai 250 mila al milione di euro. Si presenta come il più alto edificio residenziale d’Europa, il record è battuto stavolta in campo continentale, con un paesaggio urbano ora dominato da un’unica torre che rompe, in qualche modo, l’uniformità di una architettura espressa in altezza ma di qualità medio-bassa.

L’obiettivo di Uniq residential, la società proprietaria che ha commissionato l’opera a Dragados, potentissima costruttrice, è mettere sul mercato gli appartamenti puntando sui canali stranieri, quello britannico innanzitutto. Gli inglesi apprezzano più di altri le miti coste del sud: secondo una rilevazione di qualche tempo fa nel 2019 erano ben 360 mila i residenti in Spagna, concentrati principalmente nelle città del litorale.

“La torre Intempo ti farà sentire a casa, come a Shangai o a Dubai”, si legge sul sito promozionale di Uniq. Lì si pone l’accento con enfasi sul recente articolo del Financial Times, “Skyscrapers-on-sea: Benidorm, an oasis of Modernist design”, a firma del critico di architettura Edwin Heathcote. Un’apologia delle torri della città alicantina viste come vera fonte dello sviluppo economico, lo stesso che preconizzava in Italia il governatore Vincenzo De Luca quando presentando il mastodontico Crescent di Bofill, architetto catalano fautore del post modernismo, prefigurava frotte di turisti ammaliate ai piedi della mezzaluna sorretta dalle colonne doriche posticce.

L’ecomostro adagiato in posizione dominante sul golfo di Salerno è in dirittura d’arrivo, come la M col diamante, ma nella città tirrenica non si vede ombra di turista immortalare tanto scempio.

Kitsch e speculazione come linee-guida nella pianificazione di una città, con la morale che non cambia, è lì ad un livello minimo, perfino tollerabile in tanta decadenza. Intanto la New York del Mediterraneo attende i nuovi ricchi. E, come la Grande Mela, non dorme mai.

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