Questo è il giorno in cui la storia è cambiata, velocemente come i 100 metri di Marcell Jacobs e volando alto, dove nessuno ipotizzava potesse arrivare, come Gianmarco Tamberi. Un giorno racchiuso in 10 minuti, quelli che corrono tra le 21.43 e le 21.53 se considerate il fuso di Tokyo, dove tutto è avvenuto, o le 14.43 le 14.53 se tenete conto di cosa segnavano gli orologi in Italia mentre avveniva qualcosa che a preconizzarla qualche ora prima sarebbero venute giù grosse risate. L’Italia vince i 100 metri e il salto in alto alle Olimpiadi e non solo aggiusta il medagliere ma vede spalancarsi davanti a sé una nuova era dello sport.
La breccia la apre Gimbo Tamberi arrampicandosi fino a 237 centimetri di altezza, spinto da quei 5 anni di sofferenza e recupero tra l’infortunio del 2016 e la serata magica di Tokyo. Sono le 14.43 e, mentre un bel pezzo di Paese se ne sta ammollo in mare, l’altista di Civitanova Marche e il qatariota Mutaz Essa Barshim decidono che può bastare così. Hanno sofferto lo stesso infortunio, devono godersi l’oro insieme.
La porta della nuova era la sfonda, dieci minuti più tardi, Marcell Lamont Jacobs percorrendo i 100 metri in 9″80 lasciandosi dietro il resto del mondo in una gara che raramente è stata terreno per gli europei, figuriamoci per l’Italia che non aveva mai neanche partecipato alla battuta di caccia. Catapultato oltre le colonne d’Ercole sulle gambe del 26enne cresciuto a Desenzano del Garda, il Coni si ritrova con quella che resterà un’Olimpiade memorabile, al di là della posizione finale nel medagliere.
Pareva quasi asfittico, nonostante le 25 medaglie conquistate fino a domenica mattina. Con i 2 ori dell’atletica leggera, compreso quello della gara regina dei Giochi, fanno 27 e nono posto momentaneo. Due vittorie in venti minuti in una disciplina olimpica nella quale l’Italia era salita in 19 occasioni sul gradino più alto del podio nella storia. E dove venivamo da delusioni su delusioni. Con il punto più basso toccato ai Mondiali 2015, con zero medaglie e dodici atleti su quindici impegnati in batterie e turni eliminatori non qualificati per il turno successivo.
A Tokyo qualcosa è girato, non solo per il momento di gloria di Jacobs e Tamberi. Dietro – e non è finita – c’è una pattuglia di atleti che sgomita. Dai siepisti Ala Zoghlami e Ahmed Abdelwahed ad Alessandro Sibilio, qualificatosi per la finale dei 400 metri ad ostacoli proprio mentre i suoi compagni di spedizione certificavano la crescita del movimento. E poi Daisy Osakue, impegnata lunedì nella finale del lancio del disco, come Filippo Randazzo nel salto in lungo. Ancora: poco dopo toccherà a Nadia Battocletti nei 5000 metri.
Non è finita qui, perché manca ancora una settimana e mentre la scherma medita su come rilanciarsi dopo la fine di un’era, l’atletica leggera sembra avere tutta l’intenzione di aprire la sua. Il giorno della festa per la vittoria dell’Italia agli Europei, insieme alla Nazionale di Roberto Mancini, a Palazzo Chigi c’erano i campioni azzurri degli Europei Under 23, dove sono piovute 13 medaglie. Sono passati quasi inosservati, tra un Bonucci e Chiellini. Vale la pena seguirli, perché da Sibilio a Battocletti fino a Sabbadini e Kaddari quella di Tokyo può essere l’avvio di una lunga storia azzurra. Iniziata in dieci minuti, sulle ali di Tamberi e le gambe di Jacobs.