Il 90% dei votanti si è espresso a favore del ‘sì’, ma a recarsi alle urne è stato solo il 7% degli aventi diritto mentre la soglia necessaria per la validità della consultazione era del 40%. Fallisce per mancanza di raggiungimento del quorum il referendum in Messico (tenutosi domenica) sulla possibilità di perseguire gli ex presidenti per azioni illegali, ad esempio la corruzione. La consultazione è costata 25 milioni di dollari, ed è avvenuta nel mezzo della pandemia. I critici hanno notato che il Messico non ha un’amnistia formale per gli ex presidenti e non c’è nulla nella legge attuale che dica che non possono essere assicurati alla giustizia. Come dicono gli oppositori in uno slogan, ‘La legge deve essere applicata, non messa ai voti’.
Nonostante la consultazione non sia valida per mancata affluenza, la stragrande maggioranza dei messicani che ha votato si è espressa a favore dell’apertura di un’indagine su eventuali reati di corruzione commessi in passato da ex presidenti. I sì sono stati fra l’89,36 e il 96,28%, mentre solo fra l’1,38 e l’1,58% dei votanti si è espresso per il no, con un 2,20% che ha annullato il voto e depositato una scheda bianca.
Voluto dal presidente Andrés Manuel López Obrador, il referendum proponeva l’apertura di indagini su cinque capi di Stato non nominati esplicitamente (Carlos Salinas de Gortari, Ernesto Zedillo, Vicente Fox, Felipe Calderón e Enrique Peña Nieto) al potere in Messico fra il 1998 e il 2018. Preso atto dell’insoddisfacente risultato, il comitato promotore del referendum ha indicato che “la lotta per ottenere giustizia per i reati commessi da chi ha governato il Messico proseguirà con una proposta, che sarà formalizzata l’8 agosto a Città del Messico, della costituzione di un Tribunale dei popoli integrato da personalità di rilievo”. I modelli ispiratori di tale iniziativa sono il Tribunale Russell o il Tribunale internazionale che esaminò i crimini commessi durante la guerra del Vietnam.