Il 2 agosto 1944 è una data simbolo nella storia di rom e sinti: è la data della liquidazione dello Zigeunerlager, il campo per “famiglie zingare” istituito ad Auschwitz-Birkenau e che il 16 maggio doveva essere svuotato per fare posto agli ebrei deportati dall’Ungheria.

Quel giorno le SS avevano circondato lo Zigeunerlager e quando fu loro ordinato di uscire, i circa 7.000 rom e sinti si rifiutarono: avvertiti delle intenzioni dei tedeschi si erano armati di tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi da lavoro. La rivolta, l’unica in un campo di concentramento nazista e diventata simbolo di resistenza per il nostro popolo, costrinse le SS a evitare lo scontro. Ma il 2 agosto, 918 uomini furono trasferiti a Buchenwald e 790 donne a Ravensbrück e nella notte gli ultimi 4.300 sopravvissuti, questo il numero secondo le ultime ricerche, verranno uccisi nelle camere a gas. Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata rossa, quando ruppero il cancello di Auschwitz, trovarono vivi solo 4 sinti.

Oggi si stimano in 500mila le vittime del porrajmos, il genocidio di rom e sinti, una stima approssimativa che non comprende le decine di migliaia di uomini, donne, bambini uccisi per le strade dei territori occupati dai nazisti, soprattutto nell’Europa orientale e nell’Unione Sovietica. Ma questa è una pagina della storia non molto frequentata. Il sacrificio di rom e sinti rimane sempre nelle pieghe delle celebrazioni ufficiali, nei libri di scuola e nella coscienza collettiva. Perfino nella legge che nel 2000 ha istituito la Giornata della memoria delle vittime del nazifascismo il porrajmos, il nostro martirio, non è neppure menzionato.

Un mancato riconoscimento che non ha ragioni se non in un antiziganismo strisciante nella politica e che purtroppo svolge un ruolo fondamentale nell’assenza di reali politiche pubbliche d’inclusione e in un inefficace contrasto al fenomeno dell’antiziganismo, che oggi è una forma specifica di razzismo, un’ideologia fondata sulla superiorità razziale, una forma di razzismo istituzionale nutrita da una discriminazione storica espressa attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione. E che trova alimento in diversi fattori:

– l’evanescente confronto con il passato fascista, mai condotto fino in fondo, che lascia germinare i semi di una cultura fondata sull’odio del diverso – zingaro, negro, omosessuale che sia – e confina ai margini la ricerca storica sul genocidio di rom e sinti che non diventa patrimonio storico comune. Di conseguenza manca quel sentimento del rimorso che impedisce ancora all’antisemitismo di avere un qualunque spazio, anche nel sentimento popolare oltre che nelle istituzioni pubbliche;

– lo storico pregiudizio nei confronti dello “zingaro ladro di bambini”;

– il mancato riconoscimento di una minoranza storico-linguistica e la conseguente discriminazione istituzionale e nelle azioni delle pubbliche amministrazioni;

– infine, la strumentalizzazione politica e mediatica della minoranza della comunità messa ai margini sociali e civili nelle periferie delle città, costante oggetto dei procacciatori di voti sul disagio sociale, determinando, in un loop perverso, ulteriori fenomeni di pregiudizio, discriminazione, discorsi d’odio e atti di violenza.

Oggi il 2 agosto ha quindi per noi non solo il senso profondo della memoria dei nostri morti, ma anche il senso di un’occasione per ricordare a noi stessi, alle nostre istituzioni e alla comunità generale che il riconoscimento del porrajmos è il primo passo nel percorso per restituirci dignità e una compiuta inclusione sociale e civile.

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