Fuori dal frastuono della piazzetta, lontano dal mal ton e dai cacciatori di celebrities esiste una Capri più genuinamente sofisticata. A farci riscoprire il fascino della Capri d’antan che era fatto di un rapporto più equilibrato tra paesaggio e visitatori quando qui li chiamavano i forestieri. Sono le “Passeggiate d’autore” di Renato Esposito, tra i più illustri cittadini capresi (ancora non insignito di targa). L’ultimo libro si chiama: “Le Magiche Donne di Capri”. Lo chiamano il professore, è un germanista pura e di Capri conosce ogni pietra. Perché a Capri si fa anche questo, si cammina. Ogni roccia racconta una storia. “Di giorno facevano i rivoluzionari, la sera se la godevano, amoreggiavano e andavano per osterie a farsi grandi bevute di vino locale”, esordisce il prof quando si ferma davanti alla casa rossa dove soggiornarono Gorky e Lenin, tra i fondatori dello Stato Sovietico, che a Capri vissero anche una dimensione di “azzurra leggerezza”. Le fotografie dei loro “festini a tasso alcolico” sono state censurate dal segreto di Stato. Solo dopo la caduta del muro di Berlino hanno incominciato a circolare. “Il collettivismo agrario di Lenin nasce qui- la butta lì il professore- Quando vide gli orti senza recinzione e i bambineggi che rubacchiavano ciliegie e pesche”.
Siamo nella parte meno vip dell’isola. Passo davanti all’orto di Roberto Pizzano, verace come i pomodori cuore di bue grossi e invitanti che coltiva. Non rubo, gli chiedo: “Me ne regala uno?” mi riempie la borsa. Ecco un segno dell’antica generosità degli isolani, nulla a che vedere con l’avidità di chi oggi vuole svendere l’isola a un turismo di massa sempre più invadente. Con il professore facciamo sosta davanti all’Hotel Reginetta, la prima locanda che ospitava gli artisti e chi non poteva pagare lasciava un quadro a credito. Oggi ogni stanza, solo dieci con vista su giardini terrazzati che scendono fino a Marina Piccola, ha un quadro da collezione. Il senso d’ospitalità è rimasto nel dna a Paolo Falco, terza generazione di proprietari, che ci offre un bicchier d’acqua profumata con menta fresca.
Continuiamo a inerpicarci fino al Belvedere sul cuccuzzolo più alto, sotto di noi, effetto camoufflage, spunta l’Arco Naturale. Ai nostri piedi la Villa di Curzio Malaparte, scrittore ondivago, prima fascista, poi comunista. Lascia la villa al governo cinese che ritorna poi agli eredi indiretti (ma pur sempre eredi) malgrado il tombeur de femme abbia lasciato in giro qualche figlio non riconosciuto. Gagosian, il più famoso global network di gallerie con sedi sparse fra Parigi, Londra e Los Angeles l’affitta un mese all’anno per eventi super blindati. I fortunati potranno ammirare gabinetto e bidè ricavati dai capitelli di colonne gorizie, installati davanti a una vetrata spalancata sui Faraglioni. Se qualcuno dovesse pensare che fossero repliche si sbaglia di grosso perché Malaparte si sentiva grandioso come l’imperatore Tiberio che da Capri governò l’impero per otto anni per sfuggire ai complotti di corte. Anche Curzio cercava l’isolamento contemplativo allietato da piacevoli incontri. Alla Lei di turno era riservata la Camera della favorita.
Malaparte non si fidava di nessuno eccetto il suo cane Febo e alla sua morte gli fece costruire un piccolo mausoleo nel giardino della villa. Il professore ci legge un racconto dal suo libro “Camaleonte azzurro” (ed.La Conchiglia) e noi rimaniamo sospesi sul filo dell’immaginazione.
A questo punto se i neopiccioncini “Bennifer “ si fossero uniti a noi, Ben sarebbe ai piedi della sua favorita e se non fosse stonato le dedicherebbe la canzone di Venditti “Certi amori non finiscono Fanno dei giri immensi E poi ritornano…”
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