Nemmeno gli spiriti più critici sullo stile e metodo Draghi-Cartabia avrebbero potuto prevedere che “la riforma epocale della giustizia attesa da trent’anni” – secondo il coro unanime dei laudatores – sarebbe arrivata in aula alla Camera in un pomeriggio rovente del primo agosto, mentre il paese è flagellato da nord a sud dagli effetti arcinoti dei cambiamenti climatici, oltre che dagli ennesimi incendi dolosi, e dalla annunciata quarta ondata del Covid post delirio europeo.
E ci arriva sostanzialmente “blindata” con l’ipotesi quasi scontata del voto di fiducia per essere smaltita ed incassata in un paio di giorni senza nessuna prospettiva di essere migliorata; questo dopo che sono state cestinate anche due misure di elementare buon senso per alleggerire il carico che grava sui giudizi d’appello, come l’introduzione del giudice monocratico per i reati minori, con pene fino ai quattro anni, e l’abolizione del divieto della reformatio in peius cioè la possibilità di una pena più pesante in secondo grado quando la sentenza viene impugnata dal solo imputato.
Una procedura da legislazione d’urgenza, come se si trattasse di uno stato di calamità, quella adottata da Draghi per liquidare la questione giustizia-prescrizione sempre con il mantra “ce lo chiede, anzi ce lo impone l’Europa” che ovviamente non l’ha mai posta in questi termini. E con molta probabilità appena “la riforma più attesa di sempre” entrerà a regime sarà proprio l’Europa a chiederci conto della vanificazione dopo il primo grado di decine di migliaia di processi e della conseguente denegata giustizia per reati gravissimi come la corruzione, la concussione e la corruzione in atti giudiziari equiparati allo spaccio e al furto, in quanto esclusi dall’inserimento nel “regime speciale” con tempi più lunghi, per cui si era battuto il M5S e che aveva ottenuto nel primo testo approvato nel cdm dell’8 luglio.
Sotto l’incalzare di un timing martellante riservato solo alla Giustizia, sacrificata anche sotto il profilo temporale per favorire lo slittamento dei temi clou della propaganda di Salvini (come il fisco e le misure antiCovid), è stato posto un sostanziale ricatto al M5S e a Giuseppe Conte che hanno dovuto accettare i tempi di improcedibilità ordinari per i reati dei colletti bianchi, rappresentati e tutelati all’interno del governo dagli avvocati-legislatori Paolo Sisto (FI) e Giulia Bongiorno (Lega).
“In cambio” il Movimento 5 stelle, grazie alla determinazione e alle capacità di Giuseppe Conte di portare avanti una trattativa al limite dell’impraticabilità, ha ottenuto di mettere parzialmente in sicurezza i processi per i reati di mafia e i reati con l’aggravante del metodo mafioso. Con manifesta e palese sconfessione di quanto aveva sostenuto con una faccia tosta o una inconsapevolezza incredibile Marta Cartabia alla Camera, quando aveva garantito che la lotta alla mafia non era scalfita dalla sua riforma in quanto “l’improcedibilità è esclusa per reati punibili con l’ergastolo” ovvero omicidi e stragi.
E così con buona pace della ministra che faticherà non poco a mettersi d’accordo con se stessa ora la sua riforma nell’ultima versione, pretesa in assoluta solitudine dal M5S, prevede che i delitti di mafia tutti – e cioè associazione mafiosa, concorso esterno e voto di scambio – vengano equiparati a quelli da ergastolo per i quali non è prevista l’improcedibilità.
Quanto ai reati con l’aggravante del metodo mafioso o dell’agevolazione mafiosa il processo d’appello può arrivare a cinque anni (sei prima del 2025) e due anni e mezzo in Cassazione (tre fino al 2025). Una considerevole riduzione del danno più estremo denunciato dalle voci più competenti, esposte ed autorevoli della magistratura, inclusi Csm ed Anm, che non possono credibilmente essere contestate come “star mediatiche” o peggio ancora liquidati come rappresentanti del “populismo giudiziario”. E ancora una volta, incredibilmente, è lo spettro del giustizialismo che fa rabbrividire “le firme” del Foglio e del Riformista, “sbigottisce” Concita De Gregorio e la totalità dei garantisti-impunitari sempre più in sinergia con i radical-chic, immemori delle invettive del tempo che fu contro leggi ad personam e crociate anti- giudici.
Giuseppe Conte ha fatto quello che era umanamente possibile davanti allo pseudo-pragmatismo decisionista di Mario Draghi, alla determinazione ferrea di portare a casa il risultato da parte di una Guardasigilli tanto inadeguata quanto ambiziosa e al trattativismo ad oltranza dei governisti disposti a quasi tutto pur di non destabilizzare l’attuale maggioranza. Non ha potuto scardinare l’impianto di una cattiva riforma spacciata come il prodotto di merito, competenze, celerità che nasconde vuoto, faciloneria, confusione nei contenuti e ha umiliato studio, competenze ed esperienza nel metodo, come ha dimostrato di fatto la ministra con il malcelato disprezzo riservato al parere decisamente negativo, motivato ed articolato espresso dalla sesta Commissione e confermato a larghissima maggioranza dal Plenum del Csm. Ridurre richieste legittime e doverose come l’inclusione dei delitti contro l’ambiente tra i reati gravi da preservare dalla tagliola dell’improcedibilità a “bandierine” agitate dai partiti squalifica solo chi le ritiene tali. Analoghi effetti deleteri sottolineati dai magistrati emergono dalla riproposizione di una lista di reati prioritari da parte del legislatore a cui i pm dovranno adeguarsi, oppure dall’imposizione di rivelare anticipatamente gli atti all’indagato in fase di indagini preliminari, con la conseguenza di ritardare i tempi e vanificare l’esito dell’investigazione.
A denunciare i gravi limiti della pretesa riforma epocale dalle pagine della Stampa, giornale non ascrivibile all’esigua fronda antigovernativa, è stato anche Vladimiro Zagrebelsky, giurista già componente del Csm e giudice della Corte Europea. Senza mezzi termini ha evidenziato che “nessuna delle osservazioni, degli argomenti critici, degli allarmi lanciati da istituzioni e da singoli esperti (da ultimo il parere espresso dal Csm e da quattro autorevoli processualisti) ha trovato riscontro. Non dico accoglimento, ma segno di attenzione… La fretta di ottenere un testo di riforma approvato dal Parlamento ha anche impedito ciò che un governo dovrebbe gradire e sollecitare: lo studio e l’approfondimento nelle sedi in cui si studia e si approfondisce. I nuovi sistemi di deflazione sono palesemente insufficienti“.
E la conclusione è inequivocabile: “Gli esperti sono stati degradati a tecnici, facendo credere che si tratti dei difensori di un vecchio, inaccettabile sistema di potere. Il risultato… è senza pregio e pieno di rischi. E per una riforma che si vuole ambiziosa il metodo è stato pessimo. Peccato”.