Mentre i diversi gruppi Taliban continuano a mangiare terreno in varie aree dell’Afghanistan, da Herat a Kandahar fino a Lashkar Gah, adesso l’offensiva militare degli Studenti coranici è riuscita a penetrare fino ai vertici del moribondo governo centrale di Kabul, la cui sopravvivenza oggi appare ancora più in discussione. Ieri sera un’autobomba guidata da un combattente kamikaze si è fatta esplodere nei pressi della residenza del ministro della Difesa, Bismillah Mohammadi, con un commando armato che ha poi fatto irruzione in un edificio adiacente provocando uno scontro a fuoco con gli agenti della sicurezza a protezione dell’abitazione. Un’azione che ha provocato un bilancio sanguinoso di almeno 8 morti, tra i quali una donna, e 20 feriti, oltre a dimostrare la precarietà dell’esecutivo di Ashraf Ghani, ormai assediato dal sopravanzare delle truppe talebane in tutto lo Stato, dopo l’avvio del ritiro dei militari stranieri.
A confermare l’attacco è arrivato anche il ministero degli Interni che, però, rassicura sul fatto che il titolare della Difesa e la sua famiglia non hanno subito conseguenze. Gli uomini armati, secondo la ricostruzione, sono anche entrati nell’abitazione del parlamentare Mohammad Azim Mohseni che però non era in casa al momento dell’attacco.
Se quindi l’offensiva non ha colpito direttamente alcun membro del governo di Kabul o del Parlamento, resta il duro colpo inflitto alle prospettive di sopravvivenza di un esecutivo che, nonostante il ritiro, rimane uno stretto alleato degli Stati Uniti e dei Paesi della coalizione, tra cui l’Italia, che per bocca dei loro rappresentanti hanno più volte assicurato sostegno anche dopo il ritiro delle truppe. La realtà racconta però di un Ghani assediato dalla nuova, violenta ondata di attacchi da parte dei gruppi Taliban che in questo momento impediscono alle istituzioni centrali il controllo di circa l’85% del territorio, dopo la nuova entrata degli uomini col turbante a Kandahar e l’assedio di Herat, città dove era presente fino a poche settimane fa il contingente italiano. Tanto che nei mesi scorsi il governo ha chiesto il sostegno dell’Alleanza del Nord, quei signori della guerra che negli Anni 80 erano riusciti a cacciare gli invasori sovietici e che ancora oggi detengono un importante potere sui territori che si sono spartiti negli anni successivi al conflitto. Una situazione che sembra però sempre più destinata a sfociare in una guerra civile che rischia di far aumentare il già altissimo numero di vittime del conflitto.
I Taliban, nella loro rivendicazione diffusa dal loro portavoce militare, Zabihullah Mujahid, sostengono infatti che quest’ultimo attacco sia solo l’inizio di quella che viene descritta come una rappresaglia del movimento contro funzionari del governo. L’attacco viene descritto come un’operazione di “martirio”, che ha “inflitto grandi perdite al nemico” e che è stato sferrato mentre nella residenza del ministro della Difesa “era in corso una riunione importante”. “Questo attacco – aggiunge il portavoce – è l’inizio di una serie di operazioni di rappresaglia contro figure chiave dell’amministrazione di Kabul che ordinano attacchi contro i civili in varie zone del Paese, bombardamenti contro strutture pubbliche e che costringono ogni giorno le persone a fuggire dalle proprie case”. Mujahid accusa il governo afghano di “commettere crimini” in varie province del Paese e sostiene che il cosiddetto “Emirato islamico non resterà indifferente davanti ai crimini dell’occupazione e del nemico interno e si opporrà con tutte le sue forze”.
Ma diverse organizzazioni internazionali denunciano violenze e soprusi nei confronti della popolazione proprio per mano dei Taliban, con le persone che, improvvisamente, si sono ritrovate nuovamente a dover rispettare le imposizioni oscurantiste del gruppo fondato dal mullah Omar. Human Rights Watch, in un rapporto pubblicato ieri, riporta infatti che le truppe Taliban che stanno avanzando a Ghazni, Kandahar e altre province afghane hanno giustiziato soldati, agenti di polizia e civili che avevano legami con il governo di Kabul. Secondo i residenti di varie province interpellati da Hrw, i Taliban hanno chiesto ad ex agenti di polizia ed ex soldati di registrarsi nell’organizzazione in cambio di un documento che ne garantiva la sicurezza, ma successivamente hanno detenuto alcune di queste persone e le hanno giustiziate sommariamente. “L’esecuzione sommaria di chiunque sia in custodia, sia un civile che un combattente, è una grave violazione delle Convenzioni di Ginevra ed un crimine di guerra“, ha commentato Patricia Gossman, direttrice associata per l’Asia di Human Rights Watch: “I comandanti talebani che sovrintendono a tali atrocità sono anche responsabili di crimini di guerra”.
L’Unicef riporta invece di un episodio di fustigazione ai danni di un ragazzino di appena 12 anni. L’agenzia delle Nazioni Unite si dice “profondamente preoccupata per l’escalation di violenze contro bambini” e “indignata per la notizia di un ragazzo di 12 anni del distretto di Shirin Tagab, nel villaggio di Kohsayyad nella provincia di Faryab, che ha subito una brutale fustigazione da parte di un membro di un elemento antigovernativo. Il bambino ha subito ferite alla schiena, alle gambe e ai piedi ed è traumatizzato dal feroce attacco. L’Unicef, con i partner locali, sta fornendo supporto urgente al bambino e alla sua famiglia, compreso il sostegno psicosociale, le cure mediche e altri bisogni immediati”.