Il Consiglio superiore della magistratura lascia nel suo ufficio il magistrato al momento, ma l'azione disciplinare ordinaria prosegue. A Brescia tre fascicoli aperti e Perugia prosegue
C’è un particolare che emerge dalla dieci pagine con cui la commissione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura da deciso di non trasferire il pm Paolo Storari da Milano dopo lo scontro con i vertici della procura guidata da Francesco Greco. Ebbene i consiglieri hanno deciso di fatto che non c’è fumus e neanche periculum per tre capi di imputazione nei confronti del magistrato. Mentre per quanto riguarda la “informale e irrituale” consegna da parte di Storari a Piercamillo Davigo, allora consigliere del Csm, nell’aprile del 2020 di copie non firmate di verbali dell’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, “su una supposta associazione segreta di cui avrebbero fatto parte anche due consiglieri Csm”, l’azione disciplinare è sospesa in attesa delle conclusioni della procura di Brescia che indaga per rivelazione del segreto d’ufficio. Quella incolpazione è stata stralciata. I pm coordinati da Francesco Prete acquisiranno, secondo quanto apprende il fattoquotidiano.it, la decisione di Palazzo dei marescialli il più presto possibile anche se l’ordinanza non è considerata influente.
Per i consiglieri che hanno giudicato Storari non c’è stata la “grave scorrettezza” nei confronti di Greco per non aver “formalizzato alcun dissenso sulle presunte lentezze o manchevolezze dell’indagine” chiedendo solo dopo molto tempo per iscritto che si svolgessero ulteriori attività di indagine e si procedesse all’iscrizione nel registro degli indagati; e non c’è stata neanche scorrettezza per la mancata astensione sulle indagini sulla illecita diffusione dei verbali di Amara spediti a giornalisti prima e consiglieri del Csm poi.
Nell’ottobre 2020 il giornalista del Fatto Quotidiano, Antonio Massari, fu sentito dai magistrati per aver ricevuto in forma anonima gli interrogatori di Amara. Verbali che erano segreti, ma che erano già stati consegnati a Davigo. La procuratrice aggiunta, Laura Pedio, come spiegato nella relazione del 6 maggio, concordò con Storari nel gennaio 2021 l’incarico a un perito informatico per accertarsi come quei verbali fossero usciti da un pc della Procura, ma a marzo 2021 gli accertamenti sui computer non erano stati ancora conferiti. Storari, secondo il Csm, poteva non collegare la diffusione di quegli stessi verbali alla consegna avvenuta nei mesi precedenti di cui era stato protagonista. Inoltre riguardo alla procedura da seguire per comunicare notizie di reato al Consiglio le due circolari del 1994 e del 1995 – che consentirebbero il superamento del segreto investigativo se condiviso con un componente del Csm come era Davigo – “hanno dato luogo a problematiche interpretative”. Sia l’ex pm di Mani pulite che Storari sono indagati a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio.
Le motivazioni del Csm – Storari è stato quindi di fatto scagionato dall’accusa di essere stato gravemente scorretto nei confronti di e Pedio sulla presunta inerzia nelle indagini sulle dichiarazioni di Amara perché avrebbe chiesto semplicemente consiglio a Davigo su come comportarsi esprimendo “preoccupazione (…) sulle modalità di gestione del procedimento” relativo ai verbali “in presenza di una chiara divergenza di vedute”. E non avrebbe rivolto l’accusa di inerzia nei confronti dei capi. Per quanto concerne invece il dovere di astenersi sull’indagine sulla fuga di notizie aperta quando quei verbali hanno cominciato a essere recapitati a diversi giornalisti e poi mesi dopo anche al consigliere Nino Di Matteo, secondo il Csm Storari si era già astenuto nel momento in cui era venuto a conoscenza che era coinvolta nella diffusione dei verbali, Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo. “Non appaiono forniti elementi, anche di natura indiziaria – è scritto nell’atto – per ritenere che, al momento dell’assunzione dei primi atti di indagine riguardanti la consegna dei verbali ad un giornalista, il dottor Storari fosse consapevole che la consegna stessa potesse ricollegarsi alla documentazione affidata” a Davigo. “Fatto questo che appare confermato dalla circostanza che il consiglio del dottor Davigo fu di insistere con il Procuratore con la necessità di procedere ad iscrizioni”. Adesso Storari, che è stato giudicato in via cautelare e d’uregnza, resta al suo posto. Il procedimento disciplinare ordinario procede; al termine del quale potrà essere o prosciolto o sanzionato. In attesa delle conclusioni dei pm di Brescia.
Gli “effetti” sulle inchieste – Brescia, che acquisirà la decisione del Csm, ha ben tre fascicoli scaturiti dal caso verbali Amara. Quello in cui Storari e Davigo sono indagati per rivelazione d’ufficio, quello in cui è stato iscritto Francesco Greco per omissione d’atti d’ufficio per l’ipotesi di aver rallentato le indagini sulle dichiarazioni di Amara. Iscrizione che “non è un atto dovuto” dicono negli uffici giudiziari bresciani. E infine il fascicolo per rifiuto di atti d’ufficio che vede iscritti il procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale, e il pm Sergio Spadaro. L’inchiesta era stata aperta dopo l’interrogatorio di Storari, ma prima del deposito delle motivazioni in cui il Tribunale di Milano sull’assoluzione di tutti gli imputati del processo Eni Nigeria. I giudici avevano fatto esplicito riferimento a un video che sarebbe stato “nascosto” dalla pubblica accusa per continuare a sostenere la colpevolezza dei vertici di Eni. Video che, come ha scritto il FattoQuotidiano, era ben noto da tempo alle parti. La decisione del Csm non dovrebbe incidere più di tanto sul percorso delle indagini che vengono considerate “a metà strada” con ulteriori atti da eseguire dopo l’inevitabile pausa estiva.
C’è poi l’inchiesta a Perugia sulla presunta associazione segreta, indagine ereditata ufficialmente da Milano lo scorso dicembre. Nel registro degli indagati ci sono gli stessi nomi che erano stati iscritti a maggio del 2020 dai pm milanesi – dopo che informato da Davigo Salvi aveva telefonato personalmente a Greco – ovvero quello di Piero Amara, l’ex collaboratore Alessandro Ferraro e il suo ex socio Giuseppe Calafiore, che come Amara aveva patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari. Gli inquirenti perugini, che hanno delegato alle indagini la Guardia di Finanza di Roma, hanno continuato l’attività istruttoria e sentito nuovamente – tra un arresto e l’altro – Amara. La procura guidata da Raffaele Cantone dovrebbe tirare le somme di tutta la vicenda entro fine anno. A Roma c’è poi l’inchiesta sulla diffusione dei verbali di Amara in cui l’ex legale esterno di Eni, condannato per corruzioni in atti giudiziari, indagato per depistaggio e coinvolto in altre inchieste, elencava almeno 74 nomi di personaggi della magistratura, delle istituzioni e delle forze dell’ordine, sostenendo fossero componenti di una loggia segreta. Nel registro degli indagati è stata iscritta Marcella Contraffatto, ex segretaria di Davigo, nella cui abitazione sono stati trovati sei verbali.
L’intreccio con il caso Eni Nigeria – Il caso dei verbali di Amara si intreccia con il processo che negli uffici del palazzo di Giustizia ha provocato più di una tensione. L’avvocato Amara aveva parlato di “interferenze” sul presidente del collegio giudicante, Marco Tremolada, “da parte della difesa Eni”. Le dichiarazioni su questo punto erano state inviate alla procura di Brescia che aveva archiviato.
I pm del processo però avrebbero voluto che Amara testimoniasse nel processo sul tema di presunte “illecite pressioni di dirigenti Eni” nei confronti dell’ex manager-imputato Vincenzo Armanna, ‘grande accusatore’ per la Procura, ma assolto anche lui. Una richiesta che la procura ha riproposto anche nel ricorso in appello contro il verdetto di assoluzione. Secondo De Pasquale, Armanna considerato invece autore di “un impressionante vortice di falsità” dai giudici di primo grado, è attendibile ed “è stato pienamente riscontrato” nelle sue dichiarazioni. Il Tribunale secondo De Pasquale “va pressoché sempre fuori bersaglio nel negare la verità di circostanze affermate da Armanna”. Sempre nel ricorso l’aggiunto ha rinunciato, però, a riproporre la testimonianza dell’avvocato, già indagato tra le altre cose nell’inchiesta sul falso complotto ai danni di Eni, proprio su quel capitolo delle non provate “interferenze delle difese Eni” sul giudice Tremolada, dichiarazioni che hanno generato un’inchiesta a Brescia, archiviata, e uno scontro tra Tribunale e Procura.