Proibire le conferenze stampa di pubblici ministeri e investigatori, esclusi casi eccezionali: così potrà succedere che un politico o un imprenditore “scompaiano”, arrestati senza che nessuno, almeno in teoria, possa saperne il perché. Saranno questi – a quanto anticipa Repubblica – i contenuti del decreto del ministero della Giustizia che il prossimo Consiglio dei ministri approverà per trasformare in legge la direttiva Ue 343 del 2016, sul “rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza“. Un atto recepito dal Parlamento italiano con un ritardo di tre anni (il termine scadeva il 1° aprile 2018) grazie a un blitz del deputato di Azione Enrico Costa, che l’ha fatto inserire in extremis nella legge di delegazione europea votata il 31 marzo scorso. Delega che a propria volta sta per scadere: il Governo la deve esercitare entro il prossimo 8 agosto – la data più probabile è giovedì 5 – con un decreto legislativo aperto a successivi aggiustamenti delle Camere. La formulazione dovrebbe permettere le conferenze stampa soltanto per indagini di “rilevante interesse pubblico”, un requisito che forse potrà essere valutato direttamente dall’autorità giudiziaria. L’assist perfetto ai garantisti di casa nostra per limitare – con lo scudo di Bruxelles – il diritto del cittadino a conoscere i procedimenti in corso: un aspetto su cui al fatto.it esprime perplessità anche il capo dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia.

Il testo della direttiva: conferenze stampa ammesse solo per “motivi di sicurezza pubblica” – Ma cosa prevede il testo della direttiva? In realtà, è persino più stringente di come lo si vorrebbe declinare in Italia. Al considerando 16 si osserva che “la presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche (…) presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni (…) non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole”. Fin qui, il principio è quasi banale. Poi però, al considerando 18, ecco che Parlamento e Consiglio europeo piantano i paletti: le “autorità pubbliche” (cioè gli inquirenti) possono parlare soltanto “qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un’altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell’ordine pubblico“.

L’altro emendamento (bocciato) di Costa: divieto assoluto di parlare alla stampa – Requisiti strettissimi, che riducono la possibilità di comunicazione di magistrati e forze dell’ordine a ipotesi del tutto residuali. Di più: “Il ricorso a tali ragioni – prosegue il testo – dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi. In ogni caso, le modalità e il contesto di divulgazione delle informazioni non dovrebbero dare l’impressione della colpevolezza dell’interessato prima che questa sia stata legalmente provata”. Tanto che l’onorevole Costa avrebbe voluto una “museruola” ancor più stringente: con un secondo emendamento più specifico – questa volta bocciato – aveva chiesto il divieto assoluto di tenere conferenze stampa su indagini in corso, concedendo al massimo di diffondere comunicati, e il divieto di citare testualmente sui giornali passaggi delle ordinanze di custodia cautelare.

Santalucia (Anm): “A rischio il diritto all’informazione” – Sulle indiscrezioni relative al decreto, raggiunto dal fattoquotidiano.it, manifesta scetticismo il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. “Non vorrei che limitazioni troppo stringenti si traducessero in un ostacolo al diritto all’informazione“, dice. “A quanto mi risulta, le conferenze stampa si tengono già soltanto in casi eccezionali, in occasione di importanti operazioni con misure privative della libertà personale. Non ho memoria di conferenze stampa tenute su procedimenti, per così dire, “ordinari”. Quindi credo che il principio enunciato dalla direttiva viva già nella nostra prassi: non vedo alcun abuso di conferenze stampa o necessità di intervenire a limitarle “quantitativamente” per legge. Sono d’accordo, però, col fatto che sia necessaria una comunicazione volta a tutelare in ogni caso la presunzione di non colpevolezza, che è un principio sacrosanto e tutelato in Costituzione. Serve trovare un punto d’incontro tra le due esigenze”.

“Parla solo il capo”: ma è già così per legge – Del tutto opposto il punto di vista dell’ex vice ministro della Giustizia nel governo Renzi: “Le conferenze stampa presentano l’indagato come presunto colpevole, sono fatte per rafforzare la tesi accusatoria”, spiega Costa al fattoquotidiano.it richiamando le espressioni della direttiva. “Se poi la persona viene assolta, si porta dietro il marchio d’infamia per tutta la vita. Io vorrei che chi è assolto uscisse dall’ingranaggio della giustizia così come ci è entrato. Per questo ho presentato anche l’emendamento (approvato, ndr) alla riforma Cartabia che permette di ottenere il diritto all’oblio in rete producendo la sentenza di assoluzione o archiviazione“. Infine, come detto, il provvedimento allo studio del governo impone che a parlare con la stampa possa essere soltanto il procuratore capo. Eppure, anche in questo caso, è già così: lo prevede l’articolo 5 del decreto legislativo 106 del 2006, che disciplina l’organizzazione delle Procure. “Il procuratore della Repubblica – vi si legge – mantiene personalmente (…) i rapporti con gli organi di informazione; È fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciar dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”.

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