La narrazione è stata capovolta. Completamente. C’era una volta agosto, il mese dei sogni luccicanti, delle possibilità che si trasformavano in speranze. C’era, appunto. Perché il passato ha lasciato spazio al presente. E nel frattempo la storia è cambiata parecchio. Sugli ombrelloni si è stagliata l’ombra tetra di un incubo. Sempre più bocche hanno iniziato a pronunciare quella parola sinistra: ridimensionamento. Non più tabù, ma ipotesi concreta. Lo scudetto nerazzurro è stato una gioia effimera. Giusto qualche settimana di godimento sovrascritta da un finale surreale. Pazza Inter. Nel vero senso della parola. La squadra che aveva chiuso il ciclo della Juventus è stata smontata. Giorno dopo giorno. Bullone dopo bullone. Via Antonio Conte. Via Lele Oriali. Via Achraf Hakimi. E ora, quasi certamente, via anche Romelu Lukaku. Un’opera di scarnificazione che rischia di ridurre all’osso le prospettive, di trasformare il successo di maggio in un incidente di percorso. La grandeur tanto promessa dalla società è arrivata in fretta. E ancora più rapidamente è avvizzita. Colpa di un bilancio arrossato dalla pandemia, di un’emorragia di quattrini che rende non più sostenibili certe spese.

L’economia aveva imposto il suo primato sui risultati sportivi subito dopo la conquista matematica del titolo. L’Inter come la famosa caramella degli anni Novanta: il buco con la squadra intorno. Servivano sacrifici. E anche molto dolorosi. La proprietà aveva subito chiesto ai nuovi campioni d’Italia un taglio dello stipendio. Sembrava una bestemmia urlata nella navata di una chiesa per uno sport dove a ogni successo segue un premio in denaro, non una decurtazione. E invece era segnale di un problema opprimente, ma la cui gravità non era ancora quantificabile. Tre giorni dopo la fine del campionato è arrivato il primo indizio. Il club e Conte hanno deciso di chiuderla lì. Ecco tornato Antonio il capriccioso, aveva detto qualcuno, quello delle metafore sui ristoranti, quello che pretende l’impossibile. I più ottimisti si sono aggrappati a un precedente: la Juventus plasmata da Conte era sopravvissuta all’addio del suo demiurgo.

Tutto vero, tranne che per un piccolo particolare: i bianconeri non hanno mai proceduto per sottrazione, ma per addizione. Un nuovo campione accanto a un vecchio campione. E così via. Eppure l’addio del tecnico era un segnale inequivocabile. Perché Conte è il rovesciamento degli aforismi di De Coubertin. Per l’uomo di Lecce non ha senso partecipare se non c’è la concreta possibilità di vincere. L’illusione invece è andata avanti ancora per un po’. La cessione di Hakimi è stata vista come un sacrificio ineluttabile. Anche perché doveva essere l’unico talento da immolare sull’altare del bilancio. Via un top player per mantenere in piedi tutto il resto. Una ferita profonda che si sarebbe comunque rimarginata. Il peggio sembrava essere passato. Almeno per qualche settimana, almeno fino quando il Chelsea non si è fatto avanti per Lukaku. Quindici milioni al giocatore. E quasi 125 al club. Così ora l’Inter si trova imprigionata in un paradosso. Accettare o meno quella cifra avrà comunque un effetto distruttivo. O sull’economia. O sulla squadra.

Ma racconterà anche di come l’Inter ha deciso di rispondere a una crisi economica che sta colpendo tutti i club. La Juventus ha appena ricapitalizzato per circa 400 milioni. Il club nerazzurro ha deciso di seguire un’altra via. Il belga è stato il totem dello scudetto interista. E non solo per i 24 gol messi a segno in campionato. È stato trascinatore, uomo copertina e spogliatoio insieme. Il suo rapporto con Lautaro è diventato tema letterario, il suo scontro con Ibrahimović simbolo di appartenenza. Con la maglia dell’Inter è riuscito a riscrivere una narrazione collettiva e personale, quella che lo dipingeva come un centravanti d’area di rigore, un giocatore più fisico che tecnico. Rinunciare al proprio fuoriclasse è sempre difficile. Farlo a due settimane diventa salto nel vuoto, istinto autodistruttivo.

Perché pianificando meglio il mercato, forse, si sarebbe potuto trattenere almeno Hakimi. Perché dopo aver garantito la permanenza di Lukaku, ora si è costretti a cercare in tutta fretta un suo sostituto. Perché, come dicono dall’Inghilterra, il Manchester United dovrebbe ancora incassare 55 milioni dall’Inter per il trasferimento di due anni fa. Anche per questo spiegare il trasferimento del belga diventa difficile. Nessun calciatore è insostituibile. Ma ce ne sono alcuni meno sostituibili di altri. Così fra il debito da saldare ai Red Devils e il cartellino del sostituto di Big Rom, la cifra monstre promessa dal Chelsea potrebbe essere già evaporata. Anche per questo l’addio di Lukaku è destinato a lasciare qualche maceria. Da un punto di vista tecnico, dato che sostituirlo non è poi così facile. Ma anche da un punto di vista societario. Sempre dall’Inghilterra fanno sapere che anche Lautaro sarebbe pronto a fare i bagagli. Forse più una suggestione che una notizia. Vendere Lukaku potrebbe significare innescare un domino, far cadere una tessera dopo l’altra. Il primo effetto si è già palesato. Area manageriale e sportiva non combaciano più, ora cozzano una contro l’altra. Steven Zhang sarebbe pronto a cedere il suo giocatore. Beppe Marotta e Simone Inzaghi hanno provato in tutti i modi a trattenerlo. Una guerra di trincea che va avanti a oltranza anche che se il nome del vincitore è facilmente intuibile. L’amministratore delegato e l’allenatore avrebbero espresso il loro disappunto per il comportamento della società. E qualcuno non esclude anche che possano arrivare le dimissioni del dirigente. I tifosi dell’Inter sono passati da un presente da sogno a un futuro dispotico. Tutto in meno di otto settimane.

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