di Carmelo Sant’Angelo
La troika autoctona, che ha assunto le leve del potere in Italia, persegue senza alcun pudore una nefasta politica di darwinismo sociale. Si smantella ogni presidio di tutela per offrire una invereconda protezione ai soggetti economicamente più forti. L’obiettivo dei “migliori” è completare il lavoro lasciato a metà dai partiti della seconda Repubblica.
I lavoratori, legati alla colonna come il Cristo del Bramante, sono lasciati alla mercè degli imprenditori dalle “mani libere”. Negli anni, i sedicenti partiti di sinistra hanno fornito loro tutti gli strumenti di tortura e con il Jobs Act anche lo ius vitae ac necis. Le imprese sono libere di ricevere finanziamenti e delocalizzare; di utilizzare la cassa integrazione e pretendere la prestazione lavorativa; di sottopagare e piangere per il Reddito di cittadinanza; di avvalersi del caporalato e violare le misure di sicurezza; di staccare dividendi e licenziare con una mail.
Le cose vanno ovviamente peggio per chi con il proprio lavoro non riesce nemmeno a sopravvivere (in spregio all’art. 36 della Costituzione) oppure per chi è disoccupato. Una narrativa asfissiante li dipinge come parassiti della società, vere e proprie scorie umane; così come venivano etichettati i malati di mente ed i disadattati nella Germania che preparava l’avvento del nazismo.
Adesso che arriverà questa valanga di denaro è già tutto ben apparecchiato: i commensali sono seduti; al centro tavola c’è la moratoria sul codice dei contratti; dietro ogni sedia c’è un Commissario attento a derogare alle leggi vigenti; il Decreto semplificazioni è ancora fumante; la libertà di inquinamento impreziosisce il perlage del vino; la mordacchia è stata ben calzata su chiunque osi disturbare il banchetto. Le forchette non si sono levate neanche quando un cameriere sbadato aveva servito anzitempo un’Anac esautorata al flambè. Riportata immediatamente in cucina. Manca ancora la pietanza principale: la certezza dell’impunità.
Solo così Chez Cartabia potrà ricevere la stella Michelin, altrimenti rimarrà, per tutti, la cucina casalinga della “Casa di carta-bia”, dove i criminali potrebbero avere anche la peggio. I commensali vogliono abbuffarsi facendo strame del galateo, ma senza pagare pegno. Noblesse oblige.
L’ingiustizia sociale è sempre stato il biglietto da visita di questo Paese. Oggi, però, si aggiungono degli elementi preoccupanti: l’assordante silenzio dell’intellighenzia, il tripudio dell’informazione per l’ancien régime; l’inadeguatezza palesata dai poteri di garanzia e la debolezza di quelli di bilanciamento previsti dall’architettura costituzionale. I suddetti fattori aiutano a veicolare nella pubblica opinione l’idea che Conte voglia “mettere il bastone tra le ruote al Governo”. Poco importa se le vittime sul lavoro saranno senza colpevole; se la violenza sulle donne rimarrà impunita; se i cittadini saranno inermi di fronte alle truffe; se i casi di malasanità saranno addebitati al destino avverso; se sarà più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un colletto bianco nel regno di Regina Coeli. Si è arrivati al punto che per far capire il carattere esiziale della riforma si parla solo di mafia e dell’asservimento delle Procure.
Non dimentichiamo che il darwinismo sociale fornì uno dei fondamenti ideologici alle misure eugenetiche e di politica sociale del nazionalsocialismo. La mortificazione del dibattito civile e l’ostracismo nei confronti di chi osi disturbare il manovratore porteranno all’ingresso nel nuovo Parlamento di forze di estrema destra, sinora escluse dall’emiciclo.
Sempre profetiche le parole di Pasolini: “Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che (…) i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale”.