“È troppo presto per dire se il reddito di cittadinanza se verrà riformato, ridisegnato, se cambierà platea. Quello che vorrei dire è che il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno“. Con due frasi Mario Draghi mette la parola fine ai piani di assalto alla misura anti-povertà varata dal primo governo Conte. E rinvia a data da destinarsi l’ipotesi di una riforma dell’istituto, che alcuni partiti sognavano già in autunno. Nel “saluto” ai cronisti a palazzo Chigi prima della pausa estiva, dicendo a chiare lettere di “condividere il concetto” che ha ispirato il sostegno economico alle fasce deboli, il premier sembra rivolgersi in particolare a Matteo Renzi: il leader di Italia Viva, in crisi di consenso e credibilità, negli ultimi mesi ha cercato la ribalta definendolo “diseducativo” e lanciando l’idea di un referendum per abolirlo. E giustificando la crociata con la necessità di “una grande operazione educativa e culturale”: “Io voglio mandare a casa il reddito di cittadinanza perché voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, correre, giocarsela. Se non ce la fai ti diamo una mano, ma bisogna sudare”.
Una narrazione che adesso persino il premier tanto apprezzato da Renzi – e da Confindustria, altra grande avversaria del reddito – smonta in pieno. Dimostrando ancora una volta, dopo la mediazione raggiunta sulla riforma del processo penale, che la voce del nuovo Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte – che è ancora il partito di maggioranza relativa in Parlamento – non può essere ignorata dal Governo. E ridimensionando anche l’ultima predica moraleggiante in cui Renzi si è lanciato appena due giorni fa, nella sua Enews: “La verità è che il reddito di cittadinanza non funziona: tutti lo sanno, nessuno lo ammette. Quando uno strappa il velo dell’ipocrisia subito viene attaccato. Io sono pronto a discutere delle misure per lottare contro la povertà. Ma questa misura non può essere il sussidio diseducativo e clientelare che non ti avvicina al lavoro, come dimostrano i dati”. Sarà, ma – almeno per adesso – il “sussidio diseducativo e clientelare” non si tocca, blindato non dai suoi fautori, ma da Mario Draghi in persona. “Attendiamo le repliche di chi lo ha definito “diseducativo e clientelare” e ha proposto un referendum per abolirlo. I sussidi alla povertà si migliorano, non si aboliscono”, punzecchia su Twitter il dem Alfredo Bazoli.
“Il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno”, Mario Draghi, 6 agosto 2021. Attendiamo le repliche di chi lo ha definito “diseducativo e clientelare” e ha proposto un referendum per abolirlo.
I sussidi alla povertà si migliorano, non si aboliscono.— alfredo bazoli (@alfredobazoli) August 6, 2021
Peraltro, le parole del premier – che è prima di tutto un economista – non dovrebbero sorprendere più di tanto. A livello internazionale studi e pubblicazioni che sostengono l’opportunità di introdurre misure come il reddito di cittadinanza abbondano. Oltre alla funzione di contrasto alla povertà ed argine alle diseguaglianze (con conseguente spinta ai consumi), i redditi di base consentono ad un cittadino di non essere costretto ad accettare qualsiasi lavoro anche a condizioni salariali e/o normativo ricattatorie. Il fatto che il costo del lavoro non sia più una variabile quasi indefinitamente comprimibile fa si che le aziende non possano più adagiarsi sulla diminuzione di costi e prezzi per restare sul mercato. Sono quindi costrette a difendere le loro performance investendo, migliorando la qualità dei loro prodotti o spostandosi su produzioni con più alto valore aggiunto. Un beneficio per tutta l’economia.
D’altra parte l’efficacia della misura è stata riconosciuta nell’ultimo rapporto “Lotta alla povertà” della Caritas (che lo definisce uno strumento di promozione umana che può liberare dal giogo della privazione economica e della mancanza di opportunità”) e pure dall’Unione europea, che ha chiesto di ampliarlo in modo da raggiungere le fasce più vulnerabili che al momento ne sono escluse. Diversi studi dimostrano inoltre come un reddito di base non abbia effetti particolarmente disincentivanti sulla ricerca di un impiego da parte dei percettori. Del resto sostenerlo significa dimenticare la differenza tra sopravvivere e potersi permettere un tenore di vita più soddisfacente, accantonare le implicazioni sociali e culturali che derivano dal non avere un lavoro e trascurare il desiderio di una persona di fare un lavoro che lo possa appagare. Semplicemente per farlo non sarà più disposto ad accettare qualsiasi condizione.