In tempi di pandemia e di slanci ambientalisti – in cui la massima riflessione sull’abitare nazionale è rappresentata da “una casa per alberi che ospita anche umani e volatili”: il camouflage del Bosco Verticale, iconologia del benessere dell’alta borghesia, nella città più “smart” d’Italia – se volete vedere una casa bella, dirigetevi sul litorale di Santa Marinella, a pochi chilometri da Roma, e andate a visitare la villa La Saracena, progettata da Luigi Moretti (1907 -1973) e realizzata tra il 1955 e il 1957.
Morbida e a tratti inaccessibile, asciutta come la prosa di Moretti, con tagli e incisioni invece di aperture, è “una casa gelosa”, “saracena”, una casa-rifugio che merita di essere guardata con rinnovato interesse nell’epoca del confinamento imposto dal Covid-19, che ha restituito alle mura domestiche quella dignità andata perduta tra gli standard di superficie minima abitabile. La casa come perimetro di protezione dall’esterno e dalla malattia impone una riflessione, e la rivista l’Industria delle Costruzioni – che alla Saracena e ad altre case iconiche ha dedicato il n.480 “Abitare lo spazio domestico” – lo fa a partire dalla storia della cultura architettonica italiana e dei suoi maestri.
Commissionata dal giornalista Francesco Malgieri, la Saracena inaugura l’ultima fase della produzione architettonica di Moretti, quella “espressionista” e delle contaminazioni, che annuncia una nuova spazialità che sperimenta la modulazione delle superfici curvilinee. Concepita e articolata come un lungo percorso proteso verso il mare, nella Saracena la sequenza degli spazi ha la tensione della “discesa a mare”, quel mare visibile dalla soglia del recinto esterno, e che funge da irresistibile attrattore.
Si accede alla casa attraversando il recinto ovoidale del giardino a nord e si entra nello spazio compresso dell’atrio trapezoidale, si prosegue con un salto di quota verso la galleria vetrata inondata di luce, in cui il riverbero della pavimentazione lucente delle maioliche di Vietri giallo chiaro si riflette sulle pareti e sull’ampio soffitto scollato dagli elementi verticali, con il medesimo baluginio del mare. Si avanza fino alla spazialità inaspettata dell’abside incassato della zona pranzo, superando il quale si arriva al breve soggiorno che si apre a sud, in continuità spaziale e visiva sul “pranzo all’aperto”, schermato dalla lunga pensilina a sbalzo in correnti in ferro, che allude ai bompressi delle navi a vela.
Successivamente, scendendo la gradinata esterna, si arriva al “grottone” con lo stupefacente cancello realizzato dall’artista Claire Falkenstein (andato distrutto) oltre il quale, infine, si raggiunge il mare. Il prospetto principale è un capolavoro di astrattismo, il muro di recinzione esterno dell’ingresso principale sul fronte stradale taglia l’attacco a terra della casa: i volumi sembrano sospesi. Nelle facciate della Saracena ritroviamo quei valori formali che rendono riconoscibili i caratteri di una straordinaria opera moderna: la lastra quasi sospesa del prospetto est della galleria; i volumi perforati della torre con tagli e incisioni a nord; l’invenzione del grande cilindro aggettante. È questo il corpo più sorprendente, una vera e propria scultura autonoma, di grande forza plastica, priva di relazione con gli altri elementi murari, e sul cui bordo le increspature che fungono da “modanatura” disegnano flessuose ombre sottili che fanno vibrare una superficie altrimenti densa.
Non si può parlare della Saracena senza ricordare il restauro eseguito dall’architetto Paolo Verdeschi – che nella casa ha ambientato il suo libro giallo intitolato La Saracena, in cui i fatti reali hanno generato quelli immaginari facendoli intersecare nella narrazione, e se un libro giallo può generare un interesse per un’opera d’Architettura tanto da portare il lettore a visitarla e ad approfondirne la storia, ben venga! Verdeschi, riportando la Saracena al suo stato originale, ha sottratto al disfacimento un’opera sottoposta a vincolo monumentale dal ministero dei Beni Culturali e oggi visitabile nelle giornate organizzate dalla Rete delle Dimore Storiche del Lazio.
L’aspetto inedito del restauro riguarda il ritrovamento di inattese colorazioni sotto gli strati di tinte delle superfici interne ed esterne della casa. Ritrovamento che scardina le certezze riguardo alle rare concessioni fatte da Moretti al colore, limitatamente agli arredi che lui stesso aveva disegnato per la casa. Complice negli anni le pubblicazioni delle fotografie in bianco e nero, nell’immaginario collettivo, la granulosa mediterraneità dell’intonaco di grana grossa della Saracena era indubitabilmente di colore bianco, ma oggi il ritrovamento di Verdeschi ci dice altro. Disvela l’espressione – inedita e non ancora indagata – di un architetto che usava il colore per accentuare distacchi e separazioni tra le superfici.
La ricchezza cromatica riscoperta nella Saracena – i rosa tenui e aranciati anche su parti delle superfici esterne; il corrimano della scala elicoidale color corallo sotto due spessi strati di vernice; il cancello-scultura di Claire Falkenstein verde chiaro – ci suggerisce chiaramente che Moretti non è solo l’architetto convenzionale del “bianco dell’architettura razionalista”, come più universalmente conosciuto.
Fotografie dell’architetto Giulio Valerio Mancini