Tra le contestazioni mosse a suo carico dagli inquirenti, che hanno portato al decreto di fermo di pm, anche le minacce rivolte in prima persona a una donna che non aveva rispettato i patti con il clan, versando la quota stabilita di un affare immobiliare
Si stava recando in Spagna, precisamente a Malaga, per andare a trovare la figlia e per curare degli affari, Maria Licciardi, ritenuta dalla Procura di Napoli a capo dell’omonimo clan fondato dal fratello Gennaro. La donna è stata fermata nella mattinata di sabato 7 agosto all’ aeroporto di Ciampino, a Roma, dai carabinieri del Ros. Insieme con lei, in fila, per la consegna dei bagagli, c’erano anche due accompagnatori per i quali non sono state disposte al momento misure cautelari: quando è stata circondata dai militari, Licciardi non ha opposto alcuna resistenza. Anzi. È rimasta tranquilla quando le hanno mostrato il provvedimento di fermo emesso dalla Procura di Napoli che l’accusa di essere l’elemento di vertice del clan di cui porta il nome e uno dei componenti di spicco dello storico cartello mafioso denominato ‘Alleanza di Secondigliano‘.
Maria Licciardi è infatti indagata per associazione di tipo mafioso, estorsione, ricettazione di somme di denaro di provenienza illecita e turbativa del regolare svolgimento di un’asta giudiziaria, reati aggravati dalle modalità mafiose. Tra le contestazioni mosse a suo carico dagli inquirenti, che hanno portato al decreto di fermo di pm, anche le minacce rivolte in prima persona a una donna che non aveva rispettato i patti con il clan, versando la quota stabilita di un affare immobiliare. Proprio il settore della compravendita di immobili è infatti quello in cui Maria Licciardi ha investito molto denaro del clan, occupandosene in prima persona. Gia’ nel 2001, all’epoca del primo arresto, le fu contestato tra gli altri il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Gli inquirenti non escludono che la sua scelta di andare fuori dall’Italia fosse stata dettata dall’aver compreso, grazie al suo sistema capillare di ‘ascolto del territorio’, di essere nel mirino della procura e destinataria di una nuova misura cautelare dopo l’annullamento di quella emessa dal gip di Napoli nel 2019.
L’indagine, diretta dalla Procura della Repubblica di Napoli, ha evidenziato che la donna, sorella del fondatore del clan, Gennaro Licciardi, deceduto in detenzione nel 1994, fin dalla sua ultima scarcerazione, risalente al dicembre 2009 (dopo circa 8 anni di detenzione), ha progressivamente assunto la direzione della consorteria, gestendo le attività illecite attraverso disposizioni impartite, anche durante incontri e summit riservati, ad affiliati con ruoli apicali e ai capizona ai quali erano affidate porzioni dell’area di influenza dell’organizzazione (Masseria Cardone, Don Guanella, Rione Berlingieri e Vasto). Sotto il profilo delle sinergie operative, oltre ai rapporti (connotati da profonda reverenza nei confronti della donna) con esponenti dei clan ‘Contini’, ‘Vinella Grassi’, ‘Di Lauro’ e ‘Polverino’, sono state registrate le strette relazioni con il clan ‘Mallardo’ delle cui dinamiche la Licciardi era costantemente aggiornata. Dalle indagini emersa anche un’attenta gestione della cassa comune da parte dell’indagata, che puntualmente provvedeva al sostegno delle famiglie degli affiliati detenuti, ciò anche per evitare che questi iniziassero a collaborare con la magistratura.
L’inchiesta, condotta dal Reparto Anticrimine del Ros di Napoli, è stata resa particolarmente difficoltosa dalle continue bonifiche che l’organizzazione criminale eseguiva per scongiurare la presenza di dispositivi di intercettazione ma è riuscita comunque a documentare il capillare controllo del territorio da parte di Licciardi, ottenuto grazie al massiccio impiego di sentinelle, che consentiva alla donna di allontanarsi dall’area in caso di anomale presenze delle forze di polizia. Maria Licciardi si era infatti resa irreperibile in occasione dell’esecuzione di misure cautelari del giugno 2019 con l’operazione Cartagena che ha riguardato esponenti dell’Alleanza di Secondigliano. Le indagini confermano l’operatività dell”Alleanza di Secondigliano’ – facente capo alla famiglia ‘Licciardi’, ai Contini’ e ai ‘Bosti’ dei quartieri Vasto-Arenaccia, nonché ai ‘Mallardo’ di Giugliano in Campania – che esercita le proprie attività secondo precise strategie criminali e di ripartizione dei proventi delle attività illecite comuni, che assicurano il rafforzamento della coesione interna, l’ampliamento del rapporto di superiorità rispetto alle altre consorterie-satellite e il consolidamento delle dinamiche di reciproca solidarietà con autonome organizzazioni camorristiche, comunque legate al cartello camorristico da saldi e risalenti rapporti.