di Ilaria Muggianu Scano
L’Italia ha bisogno di una fiaba. La consapevolezza del bisogno di leggerezza di ogni periodo post bellico germina frutti fabulistici, nutrimento e indice stesso di serenità sociale. Perché la pandemia è stata nient’altro che questo, un conflitto esiziale e planetario contro l’ignoto con milioni di vittime e proiezione di morte tra i viventi. È così che l’esigenza di una dimensione onirica e di speranza è divenuta vitale componente soteriologica della società post pandemica.
Da cosa attinge questo desiderio d’evasione, di ricollocazione di quotidianità e sogno, routine e desiderio, tram tram giornaliero e progettazione del futuro? La sfera culturale del nuovo Umanesimo delineatosi dall’ascolto delle nuove esigenze dell’uomo nuovo nato dal post pandemia non ha alcun dubbio: dal sogno dell’arte. Questo pare averlo captato assai fattivamente il MAN-Museo d’arte della Provincia di Nuoro, maggiore museo di arte moderna e contemporanea del centro Sardegna, che alla dimensione artistica fonde il mistero insondabile dell’unicità della moda dei primi anni del ‘900 con la mostra “Vittorio Accornero – Edina Altara. Gruppo di famiglia con immagini”.
Protagonisti assoluti della Belle époque italiana, la coppia di artisti fece perdere la testa, ieri come oggi, agli spiriti più sensibili all’arte e alla moda. Lei, Edina Altara, è una ragazza dell’alta borghesia sassarese, di una bellezza senza tempo, capelli di seta nera, occhi d’ossidiana ardente e zigomi affilati, enfant prodige dell’arte pittorica e decorativa viene scoperta dal grande Giuseppe Biasi, delfino artistico di Grazia Deledda, che spinge Altara appena sedicenne a continuare con l’espressione artistica che rapirà l’attenzione del re Vittorio Emanuele III, il quale si assicura il collage “Jesus salvadelu”, nel 1916, esposto a Roma tra i patrimoni del Quirinale, nella Loggia d’Onore.
Edina Altara miete un successo dietro l’altro, nonostante la critica coeva riduca l’arte femminile all’angusta etichetta di primitivismo, pregevole per intuitività e per i dettagli, ma non risparmia la diminutio di “arte di donna”. “Edina era una donna che viveva nel futuro” dichiarerà Lolla Spano, nipote d’arte, giovane imprenditrice ed esperta di lifestyle e tendenze. La definizione è più che pertinente se si pensa che la magnetica pittrice era promessa sposa del marchese Carmelo Manca di Villahermosa Sanjust, ma dopo aver conosciuto Vittorio Accornero de Testa, al ballo di gala della Filarmonica di Casale Monferrato, se ne innamorò perdutamente tanto da fuggire assieme al nobiluomo e sposarlo a Reggello, in Toscana.
Il loro matrimonio fu sulla copertina di tutti i giornali dell’epoca. Inizia un sodalizio artistico che porterà lontano entrambi, nascerà l’iconica stampa “Flora” di Gucci, realizzata per la principessa di Monaco Grace Kelly, proseguirà il lavoro assieme per decine e decine di libri per ragazzi per Hoepli e Mondadori e illustrazioni per riviste di moda come Grazia. Il loro matrimonio si interruppe amichevolmente dodici anni dopo, ma il sentimento di Accornero non si spense mai, come testimonia un quadro ritrovato da Federico Spano, ricercatore e curatore del patrimonio artistico di Edina Altara, in cui l’ex marito dell’artista, quasi due decenni dopo la separazione, dipingerà la scena in cui conobbe la moglie. Un’opera di struggente intensità, “Ricordo di un ballo” è la polaroid di un leggendario colpo di fulmine.
Ma le due menti eclettiche di inizio ‘900 sono ora destinate a un successo individuale, il più sfavillante. Per Edina il sodalizio umano, editoriale e artistico con Giò Ponti, che la definirà “la pittrice cantastorie” e l’amicizia con Piero Fornasetti. Edina dipingerà, con il suo stile inimitabile, gli interni vetrati di cinque transatlantici, tra cui l’Andrea Doria. Ricominciare a sognare e progettare dopo un incubo mondiale è dunque possibile, lo fu dopo le due guerre e lo sarà dopo la pandemia: il fulgido esempio dell’arte ne è memento incarnato.