Gli esperti italiani raccontano perché nel rapporto dell’Ipcc si è riusciti a ridurre, per ciascun scenario, l’intervallo di incertezza. Inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici vengono definiti per la prima volta in modo chiaro “due facce della stessa medaglia”. E quanto emerge non è rassicurante: c'è una probabilità superiore al 50% che un riscaldamento di 1,5°C venga superato già poco dopo il 2030. L'unica via è tagliare le emissioni, ma serve un'azione duratura: "Le brevi riduzioni viste durante il lockdown non hanno avuto effetti sulla temperatura"
Per la prima volta in un rapporto dell’Ipcc, i cambiamenti futuri nella temperatura superficiale globale, nel riscaldamento degli oceani e nel livello del mare sono stati costruiti combinando le proiezioni modellistiche, risultanti dall’insieme di tutte le simulazioni climatiche disponibili eseguite con l’ultima generazione di modelli climatici a partire però da un protocollo comune condiviso (CMIP6). Gli esperti e autori italiani del rapporto “Climate Change 2021 – Le basi fisico-scientifiche” spiegano perché in questo lavoro si è riusciti a ridurre, per ciascun scenario considerato, l’intervallo di incertezza rispetto alle proiezioni delle variazioni future di temperatura globale. Momme Butenschön, Dorotea Iovino ed Enrico Scoccimarro, il gruppo di lavoro guidato da Silvio Gualdi del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici e Annalisa Cherchi, Susanna Corti e Sandro Fuzzi (CNR – ISAC) fanno capire con chiarezza quali sono le principali novità di questo rapporto che, per la prima volta, definisce inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici come “due facce della stessa medaglia”: “Le simulazioni prodotte nell’ambito di questo protocollo comune mettono a disposizione della comunità di analisi dei cambiamenti climatici conoscenze scientifiche più solide e dettagliate rispetto alle simulazioni realizzate in passato”.
I NUOVI SCENARI – Il rapporto Climate Change 2021 dell’IPCC utilizza degli scenari diversi rispetto al precedente rapporto, ossia cinque SSP, Shared Socio-economic Pathways, che considerano una varietà di contesti socioeconomici diversi associati all’implementazione di diverse strategie di gestione delle emissioni di gas serra. “Questi scenari partono dal 2015 – spiegano gli esperti italiani – e comprendono ipotesi con alte emissioni di gas serra ed emissioni di CO2 che raddoppiano entro il 2100 o il 2050 rispetto ai valori attuali, valori intermedi di emissioni di gas serra con emissioni di CO2 che rimangono ai livelli attuali fino alla metà del secolo, emissioni basse o molto basse di gas serra con emissioni di CO2 che vanno verso l’obiettivo di zero emissioni nette intorno al 2050 o, dopo, con diversi livelli di emissioni negative di CO2”. Nei diversi scenari le emissioni cambiano a seconda delle diverse assunzioni socio-economiche, i livelli di mitigazione dei cambiamenti climatici e le iniziative di controllo delle emissioni di alcuni inquinanti.
CHE POSSIBILITÀ ABBIAMO – E quanto emerge non è rassicurante. “Il Sesto Rapporto di Valutazione dell’Ipcc – spiegano – valuta una probabilità superiore al 50 per cento che un riscaldamento di 1,5°C venga superato negli anni immediatamente successivi al 2030, ovvero in anticipo rispetto a quanto valutato nel recente rapporto speciale dello stesso IPCC sul riscaldamento di 1,5°C pubblicato nel 2018”. È virtualmente certo, si legge, che la soglia di riscaldamento globale di 2°C sarà superata durante il XXI secolo se le future emissioni saranno in linea con quanto ipotizzato nei due scenari ad alte emissioni. Nel caso di una diminuzione delle emissioni globali di gas serra dal 2020 in poi e raggiungendo emissioni nette di CO2 pari a zero intorno alla metà del secolo, è possibile che il riscaldamento globale rimanga al di sotto di 1.5°C.
COSA HA INSEGNATO LA PANDEMIA – Ma che non sia facile lo hanno insegnato la pandemia e i lockdown estesi in tutto il mondo. “La pandemia – spiegano gli esperti – ha causato la riduzione in tempi brevissimi sia delle emissioni di inquinanti atmosferici che dei gas serra. Per quanto riguarda i primi, si è assistito a un seppur temporaneo miglioramento della qualità dell’aria in tutto il pianeta. Per quanto riguarda i secondi, i lockdown hanno prodotto una riduzione del 7% delle emissioni di CO2 a livello globale, un dato enorme che non ha precedenti negli ultimi 50 anni”. A questo però non si è associata una riduzione della concentrazione di CO2 e, conseguentemente, nessun apprezzabile effetto sulla temperatura del pianeta. “Questo dato – aggiungono – conferma che per contrastare il riscaldamento climatico sono necessarie riduzioni della concentrazione di CO2 e degli altri gas serra di grossa entità e sostenute nel tempo fino a una completa de-carbonizzazione, perché per apprezzare gli effetti della riduzione delle emissioni sulla concentrazione di gas serra in atmosfera sono necessarie azioni e strategie di lungo periodo”.
IL RUOLO DEGLI OCEANI – Emerge dal rapporto che un ulteriore riscaldamento amplificherà ulteriormente lo scongelamento del permafrost e la perdita della copertura nevosa stagionale, del ghiaccio terrestre e del ghiaccio marino artico. “È probabile – spiegano gli scienziati – che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre (mese del minimo annuo) almeno una volta prima del 2050, con eventi più frequenti per livelli di riscaldamento più elevati. Il livello medio globale del mare continuerà ad aumentare per tutto il XXI secolo in tutti e cinque gli scenari futuri considerati”. Rispetto al 1995-2014, l’aumento sarà probabilmente di 0,28-0,55 metri entro il 2100 nello scenario di emissioni molto basse e 0,63-1 metri nello scenario di emissioni molto elevate. Negli scenari in cui aumentano le emissioni di CO2, si prevede che i serbatoi di carbonio oceanici e terrestri saranno meno efficaci nel rallentare l’accumulo della CO2 in atmosfera. “I ghiacciai montani e polari sono destinati a continuare a sciogliersi per decenni/secoli”, mentre “la perdita di carbonio dal permafrost in seguito al suo disgelo è irreversibile su scale temporali centenarie e la continua perdita di ghiaccio nel corso del XXI secolo è virtualmente certa per la calotta glaciale della Groenlandia e probabile per la calotta glaciale antartica”.
GLI EVENTI ESTREMI – A causa dell’innalzamento relativo del livello del mare, si prevede che entro il 2100 eventi estremi che nel recente passato si verificavano una volta ogni 100 anni si verificheranno annualmente in più della metà delle località di misurazione delle maree. Nel futuro, inoltre, estremi associati alle precipitazioni saranno più intensi in molte regioni, anche dove ci si aspetta una diminuzione della precipitazione media. Su scala globale, si prevede che gli eventi estremi di precipitazione giornaliera si intensificheranno di circa il 7% per ogni grado di riscaldamento globale. La proporzione di cicloni tropicali intensi (categorie 4-5) e le velocità del vento di picco dei cicloni più intensi aumenteranno su scala globale. Con un riscaldamento globale di 1,5°C, si prevede che le precipitazioni forti e le relative inondazioni si intensificheranno e saranno più frequenti nella maggior parte dell’Africa, Asia, Nord America ed Europa. Con un riscaldamento globale di 2°C, si prevede che le forti precipitazioni e gli eventi alluvionali diventeranno più intensi e frequenti soprattutto nelle isole del Pacifico, in molte regioni del Nord America e dell’Europa. Per la prima volta sono stati considerati in un rapporto dell’Ipcc eventi a bassa probabilità e grande impatto, che potrebbero comportare effetti disastrosi. Come, ad esempio, un crollo improvviso della calotta glaciale antartica che porterebbe a un aumento del livello del mare più rapido del previsto o bruschi cambiamenti nella circolazione oceanica. “Prendere in considerazione tali eventi è molto importante – spiegano gli autori italiani – perché ciò consente un’effettiva valutazione di quelli che sono i rischi più elevati per la società e per gli ecosistemi”. Basti pensare che “una sequenza di grandi eruzioni vulcaniche esplosive nel giro di decenni – ricorda il rapporto – si è già verificata in passato, causando sostanziali perturbazioni del clima globale e regionale per diversi decenni”.