Arrivano i primi 25 miliardi del Pnrr e ai funzionari di via Cristoforo Colombo tremano i polsi. A febbraio il governo Draghi ha promesso di trasformare il vecchio rospo del Ministero dell’Ambiente nel drago che brucia le tappe e porta l’Italia dritto nella Transizione ecologica. Prossimi alla meta si scopre però che la bacchetta magica non funziona e che anziché volare il dicastero cardine del piano da 191 miliardi si trascina sotto il peso di vecchie norme inattuate senza neppure il personale necessario a scrivere le nuove. Un gorgo paralizzante che preoccupa lo stesso ministro Cingolani e lo costringe a chiamare in causa il suo stesso governo: “Sono stato nominato a febbraio, il decreto che riorganizza tutto il ministero è arrivato soltanto il 31 luglio scorso, dopo sei mesi. Possiamo recuperare e ripartire, ma servono le 400 assunzioni previste”.
La fotografia del rospo a bordo strada l’ha scattata Roberto Garofoli, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che si era posto l’obiettivo di abbattere il totem della burocrazia e rimettere in moto la macchina dei decreti attuativi dando ai ministeri obiettivi mensili. Per alcuni, in effetti, la “cura Garofoli” sembra aver funzionato, non per quello della transizione Ecologica, rivoluzionato nel nome e nelle competenze, che giace sepolto sotto il peso di 60 norme rimaste solo sulla carta (stando a fonti interne sarebbero anche più dei dati ufficiali di Chigi). Tante ormai che Gingolani stesso non ne fa mistero: finora ha emanato di suo pugno 12 nuovi decreti ma solo due sono stati attuati. A giugno, stando alla tabella di marcia di Garofoli, ne doveva emanare 10: nessuno è uscito dagli uffici del legislativo. Uno zero per cento che colloca l’ex dicastero dell’Ambiente terzo tra i peggiori, preceduto nell’immobilismo solo da Mef e Infrastrutture. Proprio mentre sul conto della Tesoreria di Stato arrivano i primi soldi del Piano salva-Italia, si scopre così che il ministero designato a spenderli è come pietrificato.
“Il Mite deve essere la punta di eccellenza di tutta la forza innovatrice del PNRR e del Governo nel suo insieme, il problema è che noi purtroppo non avevamo neppure il ministero!” si accalora Cingolani parlando al fattoquotidiano.it. Il ministro fa notare come lo stesso “Mite” sia nato per decreto il 26 febbraio, ma la legge istitutiva che lo riorganizza conferendo poteri e risorse “è arrivata solo il 31 luglio scorso”, a riprova del vizio italico di annunciare rivoluzioni di carta che richiedono tempo. “Al mio insediamento – spiega Cingolani – ho ereditato 76 norme inattuate mi pare, una montagna. Ma non è solo questo: appena siamo partiti per nove settimane ci siamo dedicati alla scrittura del Pnrr che per noi è stato centrale, poi abbiamo dato il nostro contributo al decreto Semplificazioni che è stato ‘spacchettato’ su decisione del Cdm. Il terzo grande sforzo è stato creare la legge istitutiva del Mite, che è stata portata in Consiglio dei Ministri il 31 luglio, quindi solo ora iniziamo a fare tutte le operazioni di costruzione necessaria per il Ministero che nel frattempo ha lavorato con la nuova struttura provvisoria. Un po’ è stato recuperato, resta molto da fare”.
Dal ministero fanno sapere che ci sono segnali di cambiamento, grazie alla riorganizzazione in corso che “darà presto i suoi frutti”. Fanno notare ad esempio che se a giugno non è stato sfornato alcun decreto che attui norme già approvate, a luglio ne sono arrivati nove su dieci (solo che si vedranno nella prossima relazione di monitoraggio). Nessuno però nega che almeno dal 2018 la macchina legislativa che traduce le leggi in “atti necessari” si sia inceppata. E che la trasformazione da Mattm a Mite abbia contribuito a rallentare ulteriormente il processo legislativo.
Esempi? Difficile giustificare la mancata emanazione, ancora oggi, dei decreti attuativi del Decreto Clima che fu il fiore all’occhiello dell’ex ministro Costa. Sono una decina in tutto, sono tutti fermi. Nel congelatore finiscono anche le cose più semplici, come il programma di educazione ambientale “Io sono ambiente”. Un articolo del decreto dell’1 ottobre 2018 prevedeva una campagna di sensibilizzazione sui temi del cambiamento climatico; doveva contribuire a eliminare i distributori di bibite e alimenti monouso dagli uffici e locali pubblici: a distanza di tre anni la campagna non è mai partita. La messa al bando è rimasta limitata alle (poche) istituzioni che l’hanno attuata da sé, sfiduciate anch’esse che il legislatore attui per tempo quel che legifera.
Altro caso clamoroso è il decreto sulla cessazione della qualifica di rifiuto, il cosiddetto “end of waste”. Per il precedente governo il provvedimento pro-riciclo era tanto importante da farne una norma di legge ad hoc. Permetteva, tra le altre cose, assunzioni di personale all’ufficio legislativo chiamato a dettagliare i requisiti tecnici di ciò che, opportunamente trattato, smette di essere pattume. Ebbene, il paradosso è che quando si è insediato Cingolani si è scoperto che non era stata attuata neppure la norma che serviva ad attuare la legge, col risultato che nessuno finora è stato assunto per dargli seguito. Bye bye riuso, addio alla promessa di un grande balzo nel campo della sostenibilità.
E qui si rintraccia l’altra causa del cronico ritardo: la destrutturazione di un ministero in fatto di risorse e personale. Proprio perché cruciale per il Pnnr, il Mite dovrebbe passare nel giro di un anno da 500 a 900 dipendenti. La burocrazia lenta però sa infilare il suo zampino anche qui. Ancora si aspettano, ad esempio, le 200 unità annunciate dall’ex ministro Costa che dovrebbero arrivare a ottobre, a conclusione della procedura selettiva in corso. Altre 218 sono state annunciate da Cingolani a seguito del decreto che ha istituito il Mite, ma per queste la procedura deve ancora iniziare. Altri 40 “esperti” dovrebbero arrivare poi dalle assunzioni di Brunetta, ma in tempi non rapidi. Insomma, il risveglio del gigante Mite – rimasto schiacciato dal peso della carta e delle nuove sfide – può attendere. Il rospo deve ancora trasformarsi in drago.