Mentre il paese è largamente impegnato a occuparsi dei no-vax, mi sembra opportuno citare un altro esempio di negazionismo, non per diminuire l’importanza del primo, ma per elucidare la rilevanza del secondo. Non parlo di negazionismo climatico, ma di negazionismo neoliberista. Cosa significa?
Mi è capitato qualche volta di incrociare commenti capaci di negare o per lo meno dubitare fortemente dell’esistenza del neoliberismo come teoria, ideologia e dottrina economica, oltre che come movimento politico. Eppure la letteratura sull’argomento è impressionante. Fate una breve ricerca bibliografica e sarete sopraffatti da contributi sul tema. L’intuizione forse più azzeccata su questo punto arriva da un contributo di Philip Mirowski intitolato “Il movimento politico che non ha il coraggio di chiamarsi per nome.”
Effettivamente, per molti sostenitori delle politiche neoliberiste che includono l’idea di un mercato globale che si autoregola (senza alcun o minimo intervento statale), oltre alla deregulation, privatizzazione e liberalizzazione in tutti i settori della società inclusa la salute, l’ambiente e l’istruzione, il neoliberismo sarebbe un termine aspecifico usato principalmente dai suoi detrattori. Ricordano qualcuno? Sì, il neoliberismo per i neoliberisti è un po’ come la mafia per i mafiosi: non esiste.
Eppure, gli effetti si vedono molto chiaramente. Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, l’umanità ha ritardato così tanto la riduzione delle emissioni di gas serra che ora non è più possibile impedire al mondo di continuare a riscaldarsi per i prossimi decenni. Potremmo quindi aver già varcato la soglia del punto di non ritorno. Nel rapporto, tuttavia, non si affronta l’analisi delle cause strutturali alla radice del cambiamento climatico e non si fa menzione delle forze politiche ed economiche che hanno ritardato azioni globali a protezione dell’ambiente.
Il negazionismo climatico non è un fenomeno nato dal nulla: sarebbe stato largamente finanziato e diffuso da industrie petrolifere come Exxon Mobil, think tank neoliberiste come American Enterprise Institute, oltre che da potenti figure politiche ed economiche come i Koch Brothers e giornali come Wall Street Journal. Per ulteriori approfondimenti, i contributi Merchants of Doubt: How a Handful of Scientists Obscured the Truth on Issues from Tobacco Smoke to Global Warming di Naomi Oreskes e Climate Cover Up: the Crusades to Deny Climate Change di James Hoggan.
Alla radice dell’incremento incontrollato di gas serra a livello globale esiste un modello di sviluppo che mira alla crescita economica infinita, spinge alla globalizzazione e a un mercato globale che deve essere lasciato “libero” perché si autoregola e non necessita quindi di interventi di governi nazionali e transnazionali. Come un gregge di pensatori indipendenti, ci hanno abituati a credere che non ci sono alternative a questo modello di sviluppo che calpesta l’ambiente sull’altare dell’economia e dei mercati globalizzati che si autoregolano. I critici, visionari di un modello di sviluppo alternativo, sono tacciati di scarso realismo. Ma sono proprio i sostenitori acritici di questo approccio al progresso a non essere realisti: la crescita infinita e incontrollata in un pianeta finito è impossibile.
La vera utopia, lo scollamento totale dalla realtà, è illudersi che l’economia e il mercato non possano essere regolati da vigorosi interventi governativi a livello nazionale e transnazionale per frenare la catastrofe climatica. In altre parole, un’alternativa a questo modello di sviluppo non è più solo desiderabile, ma anche necessaria per evitare il collasso ecologico. Ammesso che questo sia davvero “il migliore dei mondi possibili,” perché secondo gli evangelisti del neoliberismo globale le alternative sarebbero perfino peggiori e irrealizzabili, rimarrebbe in ogni caso un mondo impossibile.
E’ inutile girarci attorno, si tratta di una vera e propria rivoluzione, una trasformazione radicale della nostra società, non di una timida “transizione ecologica”. E “se non faremo l’impossibile” come spiega Murray Bookchin “ci aspetterà l’impensabile.”