Nel coro pressoché unanime di omaggi a Roberto Calasso si è dovuta distinguere, come spesso capita, la ricercatissima nota stonata di bastian contrari di professione, ovvero coloro che si spacciano per fieri dissidenti ma in realtà non fanno che riproporre, con una rapida passata di vernice intellettuale, i più stantii luoghi comuni della maggioranza (una volta, ahinoi) silenziosa. In particolare, c’è chi ha avuto la sprovvedutezza di ironizzare, neanche troppo velatamente, sull’accostamento, proposto non solo da me, tra l’annuncio della morte di Calasso e quello di David Bowie: un accostamento dettato, come chiunque non in malafede ha compreso, dalla comune decisione di far annunciare la propria scomparsa il giorno dopo l’uscita di nuove opere, in entrambi casi apparse come bilanci esistenziali.
Posto che proprio in queste ore Adelphi ha promesso per il prossimo autunno l’uscita di un nuovo saggio di Calasso dedicato all’amato Baudelaire, questa puerile ironia, rivelatrice di una vetusta distinzione tra cultura “alta” e “bassa” che speravamo il miglior Novecento avesse spazzato via, è provvidenziale perché ci consente di mostrare la grandezza della figura di Bowie anche a chi ignora e pontifica. Buffo è ricordare come Elémire Zolla, intellettuale dalla profonda sapienza esoterica e dal supremo sguardo aristocratico, amico e sodale di Calasso, che con quest’ultimo ebbe una temporanea frattura proprio per la sua insofferenza alle avanguardie musicali, ebbene proprio lui, il sommo disprezzatore della modernità, citò David Bowie come manifestazione moderna dell’Androgino, in uno dei suoi saggi più dotti.
In questo breve spazio, vorrei limitarmi a consigliare tre letture per approfondire lo spessore intellettuale di David Bowie.
Iniziamo con Codice Bowie (Melteni Linee) di Damiano Cantone e Tiberio Snaidero, un saggio-tributo che procede per parole chiave (Postmoderno, Trasformismo, Avanguardia, Sincretismo etc.), una mappa caleidoscopica per esplorare l’opera del genio londinese, chiarendo fin dall’introduzione i propri intenti, con una frase che riassume il senso di questo intero articolo: “L’assunto da cui ha preso le mosse il nostro progetto è che il musicista David Bowie sia stato un artista e un intellettuale che merita di essere inserito nel canone dei classici dell’arte e del pensiero a cavallo tra il XX e il XXI secolo. La sua produzione ha bisogno di essere studiata per delinearne i numerosi e complessi tratti poetici ed estetici, la cui decodificazione consente non solo di apprezzare con maggiore coscienza la grandezza del fenomeno Bowie, ma si rivela pure uno strumento per comprendere molti aspetti della cultura contemporanea”.
Un intento ambizioso che al termine della lettura incontra un degno esito. Ma se Bowie è stato in grado di ispirare innumerevoli artisti e scrittori dopo di lui, in primo luogo è stato anche un lettore vorace, dai gusti sopraffini e in costante ricerca. Questo è ciò che emerge dal delizioso volume Il Book Club di David Bowie, curato da John O’Connell (Blackie Edizioni), che introduce le opere indicate dall’artista nella lista dei suoi cento libri preferiti, collegandoli a brani della sua produzione e a opere affini: una serie di spunti intellettuali che crea diversi, suggestivi percorsi di lettura. Ecco, quindi, sullo scaffale del Duca Bianco apparire Camus accanto a T.S.Eliot, manifesti della controcultura come L’Outsider di Colin Wilson accanto a classici come Dante e Omero, i testi esoterici di Eliphas Lévi accanto alle pagine di impegno civile di James Baldwin, Mishima (di cui Bowie dipinse un ritratto che campeggiava nel suo appartamento berlinese) accanto a Il Gattopardo, il sarcasmo newyorchese di Fran Lebowitz accanto alle visioni decadenti del Conte di Lautréamont.
E poi, visto che comunque parliamo di un gigante della musica contemporanea, non possiamo non citare il nuovo volume monografico curato da Francesco Donadio, uno dei più grandi esperti viventi del tema: David Bowie – tutti gli album (Il Castello Editore), una rassegna approfondita disco per disco e pressoché definitiva di una delle più folgoranti carriere musicali dell’ultimo secolo. Il libro, impreziosito da una ricchissima sezione fotografica, raccoglie i contributi di firme importanti della critica musicale italiana (citiamo, fra i tanti, solo Maurizio Becker, Federico Guglielmi ed Eleonora Bagarotti).
Citando l’introduzione di Donadio, si tratta di tre libri utili per relegare, come la vergogna nella più celebre canzone di Bowie, la superficialità di certi giudizi “on the other side”.