La stampa odierna si disperde spesso in argomenti futili e tratta alla pari di questi, senza darvi la dovuta rilevanza, due fondamentali problemi, quello del riscaldamento del clima terrestre e quello delle morti degli operai sul lavoro.

Quanto al clima ricordo che la Professoressa Claudia Tebaldi, coautrice del sesto rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e ricercatrice del Pacific Northwest National Lab, ha posto in evidenza che gli eventi estremi dipendono dall’attività inquinante dell’uomo e che per riportare questi ultimi a una frequenza tollerabile occorre dismettere immediatamente le immissioni dei gas serra nell’atmosfera. Fatto questo che implicherebbe poi comunque un tempo lungo per fermare lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari, nonché l’innalzamento del livello del mare.

Ritengo che questo problema debba essere ribadito ogni giorno, perché la mia impressione è che stiamo assistendo al ballo sul Titanic, mentre la nave inesorabilmente affonda.

Altro tema fondamentale è quello che riguarda il lavoro. Mentre la disoccupazione aumenta a ritmi insopportabili, creando miseria per migliaia di famiglie, quei pochi lavoratori che sono rimasti in servizio sono esposti a rischi enormi, come dimostra il fatto che le morti sul lavoro dall’inizio dell’anno hanno raggiunto il numero di 539 operai. È un rischio insopportabile. Tutto dipende dalla legge del profitto, e dal principio a esso connesso della concorrenza, che, diversamente da quello che affermano i neoliberisti, spinge le imprese alla riduzione dei costi e quindi all’illegittima eliminazione delle indispensabili misure cautelative per la vita degli operai.

Si tratta di un problema a carattere generale. Infatti siamo arrivati all’assurdo che tutto viene erroneamente preso in considerazione sotto il profilo del guadagno, per cui sembra sia diventato normale chiedere produttività economica a soggetti che, per loro natura, devono perseguire finalità diverse.

Ad esempio gli ospedali hanno come fine la protezione della salute e non possono perseguire obiettivi di profitto. Altrettanto è da dire per l’istruzione e specie per le università, le quali hanno come fine la produzione di cultura e sono state stravolte attraverso la loro configurazione in aziende, che dovrebbero produrre denaro. Un vero assurdo fatto presente in modo eclatante da tre laureate alla Normale di Pisa.

Ricordo, come al solito, che il vero antidoto contro questa enorme deviazione dalla logica e dalla realtà può essere superato solo facendo valere gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 32, 33, 34, 41, 42 e 43 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.

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