Sparare contro il reddito di cittadinanza è la moda dell’estate. E come insegnano gli statistici “ai numeri puoi far dire qualsiasi cosa, basta torturarli abbastanza”. Così oggi il Corriere della Sera titola: “Il 36% va a famiglie sopra la soglia di povertà”. Tecnicamente vero, visto che i criteri con cui il Rdc viene assegnato, e quelli utilizzati dall’Istat per fissare la soglia di povertà assoluta, non sono perfettamente sovrapponibili. Tuttavia, con una soglia Isee di ammissione di 9.360 euro annui, non è che per questo 36% ci sia da scialare, si tratta comunque di famiglie in una condizione economica estremamente vulnerabile che ricevono, peraltro, assegni modesti. Come si può leggere nei dati più aggiornati dell’Inps, appena l’1% dei percettori di Rdc incassa più di 1.200 euro al mese. Nel 60% dei casi la cifra non supera i 600 euro a famiglia. Tanto che il valore medio dell’assegno è di 581 euro.

Cosa dicono davvero le cifre – Se non “torturati” quello che i numeri raccontano è diverso. Dicono che il reddito di cittadinanza è uno strumento da migliorare ma che funziona. Peraltro pretendere un’immediata perfezione da qualcosa calato in un contesto altamente e lungamente imperfetto è piuttosto pretestuoso. Non è comunque vero che il Rdc non raggiunga chi ne ha bisogno, o non abbia funzionato come strumento di contrasto alla povertà. L’80% degli aventi diritto, in base alle regole in vigore, lo percepisce. Una quota estremamente elevata, anche se paragonata a strumenti simili adottati all’estero. Nel Mezzogiorno, il 95% delle famiglie in povertà assoluta ha potuto accedere a questo strumento.

Il Reddito ha consentito al 57% delle famiglie che lo ricevono di trascinarsi oltre la soglia di povertà.. Come si legge in un dettagliato studio della Caritas lo strumento “ha protetto una rilevante fascia della popolazione dalle conseguenze economiche della pandemia. La Caritas ha evidenziato anche come aspetto problematico il fatto che il 56% delle famiglie povere non lo riceva. Ma il senso di questa rilevazione è che alcuni requisiti sono troppo stingenti, principalmente a danno delle famiglie extra comunitarie a cui è richiesto un minimo di 10 anni di residenza per accedere al beneficio. L’86% dei percettori sono infatti cittadini italiani.

Gli effetti sul mercato del lavoro – La metà delle famiglie in condizione di povertà assoluta che riceve il reddito di cittadinanza ha almeno un componente che lavora. Il che la dice lunga sul livello retributivo italiano e sul dilagare dei “working poor”, persone che pur avendo un lavoro non riescono a sfuggire a condizioni di povertà. Vacilla la “teoria del divano” molto cara a Matteo Renzi e Matteo Salvini, per cui chi ottiene il sussidio si adagia e smette di cercare lavoro. “Teoria” che non ha mai trovato riscontri nella realtà, anzi. Misure simili al Rdc introdotte all’estero non hanno mai dato origine a questo fenomeno. Percepire quel che basta per sfuggire al disagio più nero significa sopravvivere, non certo godersi la vita. E le ragioni per cui una persona cerca un’occupazione non sono solo di natura economica. L’unica cosa che permette una misura di questo tipo è di rifiutare offerte di lavoro con condizioni di chiaro sfruttamento. Un aspetto che evidentemente infastidisce una parte della nostra imprenditoria di cui alcuni quotidiani e forze politiche si fanno portavoce.

L’aspetto più problematico del Reddito di cittadinanza è il percorso di re-immissione nel mercato del lavoro di una quota dei percettori. Circa 900mila dei 3,6 milioni di beneficiari sono minorenni, altri oltre l’età lavorativa. Soggetti alle condizionalità che impongono di partecipare ad un percorso di reinserimento sono quindi circa un milione di persone. Il 72% ha al massimo la licenza media e spesso è assente dal mercato del lavoro da oltre due anni. In molti casi, rilevano gli studi, si tratta di persone che non sono in grado di compilare un Cv o di effettuare una ricerca su internet con uno smartphone. Neppure la migliore società di placement al mondo avrebbe vita facile nel collocare sul mercato del lavoro questi candidati. E invece questo si rinfaccia ai centri per l’impiego, sorti da poco, con un quinto degli organici tedeschi e in un contesto come quello italiano dove il collocamento pubblico è storicamente deficitario. Si aggiunga che l’attività di questi centri è stata sensibilmente rallentata dal Covid. Sia perché con la pandemia l’accesso al Rdc è stato aperto senza condizionalità (ossia senza l’obbligo di partecipare ai percorsi di reinserimenti) sia perché l’emergenza ha reso molto più intermittenti gli incontri con i candidati.

Le bufale di Marattin e Giannino – Luigi Marattin di Italia Viva ha scritto su LaStampa che solo il 3,8% dei beneficiari del reddito ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato e che 30% dei percettori ottiene il reddito grazie a truffe o evasione. Il braccio destro di Renzi ha subito raccolto il plauso di Oscar Giannino, consulente del presidente di Confindustria Carlo Bonomi.

Anche in questo caso tuttavia l’esposizione delle cifre, e soprattutto la lettura degli studi del dirigente Inps Fernando De Nicola da cui attingono, sono sommarie e imprecise, come ha benricostruito su Twitter anche il blogger Valerio Minnella. Lo stesso De Nicola peraltro, auspicando interventi di miglioramento, definisce il Rdc “uno strumento fondamentale contro disagio e povertà” . Il primo punto di Marattin (solo il 3,8% ha un contratto a tempi indeterminato) è fallace. Non ha senso alcuno applicare il calcolo sul totale dei percettori, includendo anche persone al di sotto o al di sopra dell’età lavorativa o impossibilitate ad un’occupazione per altre ragioni come l’inabilità al lavoro.

Anche la quota del 30% di “furbetti” indicata da Marattin è sbagliata. Nello studio si afferma che il 70% dei percettori (per il 63% delle somme erogate) sono effettivamente poveri ai sensi delle classificazioni Istat. E che il rimanente 30% appartiene o a persone povere che non hanno accesso in base ai criteri in vigore oppure a chi usufruisce indebitamente del Rdc grazie a false dichiarazioni etc. Due categorie che è del tutto improprio incorporare in un’unica definizione di “furbetti”.

I furbetti esistono, certo. Come esistono per le pensioni di invalidità (che nessuno si sogna di mettere in discussione per questa ragione) o, soprattutto, per le dichiarazioni dei redditi. Non è vero che i controlli sul Reddito non vengono effettuati. Come scrive l’Inps nei primi sei mesi del 2021 sono stati revocati 67mila assegni poiché percepiti da chi non ne aveva diritto. Ad ogni domanda di rinnovo le verifiche vengono ripetute. Risultati migliori si potranno ottenere con l’incrocio delle banche dati dei diversi enti pubblici (Anagrafe Tributaria, Pra, Regioni e Comuni) dopo che il garante per la privacy ha dato il suo benestare a fine 2020.

Si può sempre migliorare, certo. Come si potrebbe fare molto meglio nella ricerca degli evasori fiscali. Si suggerisce di “incrociare le banche dati”, lo stesso consiglio che da decenni viene dispensato a chi controlla le dichiarazioni dei redditi. Dai controlli effettuati dalla Guardia di Finanza sono emersi redditi di cittadinanza indebitamente percepiti per 90 milioni di euro, l’evasione fiscale ammonta a 190 miliardi di euro, il 26% di chi usufruisce del Servizio sanitario nazionale non paga le imposte che dovrebbe pagare. I veri furbetti stanno altrove.

Percepisci o hai percepito il reddito di cittadinanza? Racconta la tua esperienza scrivendo a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it e indicando nell’oggetto dell’e-mail “reddito di cittadinanza”.

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