L’avanzata dei Talebani in Afghanistan dopo il completo ritiro dal Paese delle forze armate statunitensi, sembra ormai inarrestabile. Sono undici – su 34 – i capoluoghi provinciali conquistati in appena una settimana dagli “studenti di religione” (il significato letterale della parola Taleban). Dopo la rivendicazione del pieno controllo su Kandahar, seconda città dell’Afghanistan già culla dei Talebani e anch’essa investita dai combattimenti, accompagnata dalla pubblicazione online dei video dei miliziani che festeggiano nella piazza principale della città, anche Herat, nella parte occidentale del Paese, ex quartier generale delle forze italiane, e Ghazni, città strategicamente posizionata sulla strada che collega l’area ovest dell’Afghanistan a Kabul, sono capitolate. La tensione è alle stelle tanto che sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna hanno deciso di inviare truppe per garantire la sicurezza dei diplomatici delle rispettive ambasciate.
L’avanzata, molto più rapida del previsto, potrebbe presto permettere ai Talebani di raggiungere Kabul. Ad Herat, secondo alcuni testimoni, i Talebani sarebbero improvvisamente comparsi a ridosso della città e si sarebbero verificate anche diverse diserzioni tra le forze armate afghane con passaggio dei soldati nelle fila talebane. “Il nemico è fuggito, decine di veicoli militari, armi e munizioni sono caduti nelle mani dei Mojaheddin”, ha twittato un portavoce dei Talebani, usando per i miliziani la parola che significa ‘combattenti per la Jihad’. E anche i principali valichi di frontiera sono ormai sotto il controllo talebano. L’avanzata ricorda quella che li vide protagonisti alla metà degli anni Novanta, quando arrivarono a instaurare il Califfato guidato dal Mullah Omar. Le loro forze sono ormai arrivate a 150 chilometri dalla capitale Kabul, verso la quale fuggono migliaia di civili in condizioni disperate e la caduta della città sembra questione di tempo. La dimostrazione è data dalla proposta avanzata dal governo agli insorti: una condivisione del potere in cambio della fine delle ostilità.
Nonostante il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Ned Price, abbia assicurato che l’ambasciata statunitense a Kabul “resterà aperta” con una “presenza diplomatica importante sul campo”, il numero dello staff dell’ambasciata e del personale civile verrà sensibilmente ridotto. Già nel pomeriggio l’ambasciata aveva invitato gli americani in Afghanistan a tornare in patria usando i voli commerciali a disposizione. Gli Usa avevano spiegato come la capacità dell’ambasciata di assisterli fosse “estremamente limitata” date le difficili condizioni di sicurezza e con uno staff a disposizione limitato, offrendo però dei soldi in prestito necessari per acquistare il biglietto aereo. E la preoccupazione statunitense si è fatta ulteriormente sentire in serata quando gli Usa hanno deciso di inviare 3mila marines a Kabul per permettere, appunto, l’evacuazione dell’ambasciata che, secondo la Cnn, potrebbe essere spostata nell’area dell’aeroporto, riducendo al minimo il personale. Le prime truppe, ha fatto sapere il Pentagono, saranno sul posto in 1-2 giorni.
Una decisione simile a quella presa dalla Gran Bretagna che avrebbe scelto di “inviare a breve” un battaglione di fanteria di 600 soldati per garantire la la sicurezza dei diplomatici e cittadini britannici e consentirne l’evacuazione. Preoccupazione anche dal ministero degli Esteri di Berlino che ha invitato i cittadini tedeschi a lasciare l’Afghanistan: “A causa degli scontri in atto sul terreno, il ministero sconsiglia l’ingresso in Afghanistan, e rivolge un appello ai cittadini federali, affinché cerchino la possibilità di lasciare al più presto il Paese su dei voli di linea”, si legge sul sito del ministero.
E anche sul fronte italiano non sono mancati commenti. “Herat in mano ai talebani. Se confermato, che tristezza. Anni di impegno italiano cancellati. Si discuterà a lungo su questa guerra e sul suo epilogo”, ha scritto su Twitter il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni. “A fronte dell’avanzata dei talebani in Afghanistan ci sono almeno due cose che l’Italia può fare: velocizzare i corridoi umanitari verso l’Italia per chi ha lavorato con i nostri militari e diplomatici. E bloccare qualsiasi rimpatrio di afghani dall’Europa”. ha invece cinguettato, Lia Quartapelle, responsabile Pd per l’Europa e gli affari internazionali.
Secondo la Cia, Kabul potrebbe cadere entro due/tre mesi (previsione condivisa dalla Russia), ma c’è chi ipotizza anche meno, appena 30 giorni. Anche per questo i negoziatori della capitale hanno proposto ai talebani, appunto, la condivisione del potere in cambio della fine delle violenze in Afghanistan, come ha fatto sapere una fonte del governo che partecipa ai colloqui in Qatar. “Sì, il governo ha sottoposto una proposta al Qatar in qualità di mediatore. La proposta consente ai talebani di condividere del potere in cambio della fine della violenza nel Paese”, ha dichiarato la fonte. A Kabul, intanto, riferiscono all’ANSA fonti locali, la situazione è calma, ma cresce la paura per l’avvicinarsi dei jihadisti. La città si sta riempiendo di sfollati fuggiti dalle aree dove infuriano i combattimenti che hanno costretto quasi 400mila persone a lasciare le loro case.
Intanto alcuni Paesi, come Germania, Olanda e Francia, hanno annunciato una sospensione temporanea delle espulsioni e dei rimpatri dei migranti provenienti dall’Afghanistan a causa della grave situazione legata alla sicurezza che regna nel Paese. Nessuno stop ai rimpatri invece, almeno per ora, da parte di Grecia, Belgio, Austria e Danimarca. “Mentre in Afghanistan si combatte ovunque, il pensiero di alcuni Paesi europei è rimpatriare i profughi afgani e riportarli indietro, in un Paese che è meno sicuro che mai”. Così Emergency replica alla decisione dei quattro paesi di non aderire al dettato della Commissione europea, rifiutando di sospendere i rimpatri dei richiedenti asilo la cui domanda era stata respinta. Mentre l’attenzione dell’Unicef è rivolta ai più piccoli. “La situazione in Afghanistan degenera di giorno in giorno, siamo estremamente preoccupati per la condizione di migliaia di bambine e bambini sfollati a causa del conflitto, prime vittime delle ostilità”, ha dichiarato in una nota Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia. “Abbiamo evidenze non solo di bambine e bambini feriti e uccisi ma anche di innocenti ogni giorno reclutati come soldati e vittime di violenze e atrocità di ogni genere”.