Le motivazioni del giudice per l’udienza preliminare di Catania che ha deciso il non luogo a procedere per l'ex ministro dell'Interno che si è "sentito ben autorizzato e ben sostenuto nel concretizzare anche nel caso della nave Gregoretti le medesime condotte, come quelle della nave Diciotti"
Il fatto non sussiste. Questa è la formula con la quale il giudice per l’udienza preliminare di Catania, Nunzio Sarpietro, ha deciso il non luogo a procedere per Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per la vicenda della nave Gregoretti, quando a luglio del 2019 un centinaio di migranti restarono confinati sulla nave della Guardia Costiera perché Salvini, allora ministro degli Interni, non autorizzò lo sbarco. Una sentenza arrivata lo scorso 14 maggio, poco dopo il rinvio a giudizio a Palermo, e di cui adesso sono state depositate le motivazioni. Due tribunali che hanno avuto visioni pressoché opposte. Il prossimo 15 settembre, infatti, si aprirà a Palermo il processo che vedrà alla sbarra l’ex capo del Viminale accusato di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio per il caso Open Arms. Da Catania arriva invece, in fase preliminare, il non luogo a procedere, di cui ora si conoscono le motivazioni. Sono 119 pagine e suonano come una completa assoluzione da parte del gup Sarpietro. Che non ha dubbi: la linea politica sull’immigrazione condivisa da tutto il governo e le azioni di Salvini non sono “penalmente rilevanti” e che in qualche caso si abbandona a considerazioni perfino sul diverso profilo politico dell’attuale ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, la cui diversa linea di comunicazione è dovuta al fatto che sia “un tecnico”, così scrive Salpietro.
Il gup di Catania elenca tutti gli eventi Sar dal 2018 e il 2020 e compara perfino il caso Gregoretti all’emergenza Covid, quando cioè sono state attivate le navi-quarantena. Ma andiamo per ordine. “La formula il fatto non sussiste – scrive il giudice – è stata adottata perché l’imputato ha agito non ‘contra ius‘ bensì in aderenza alle previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie. Allo stesso non può essere addebitata alcuna condotta finalizzata a sequestrare i migranti per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile”.
In più, secondo il gup, nel caso della nave Gregoretti c’era la condivisione di tutto il governo. Il gup scrive che il leader del Carroccio si è “sentito ben autorizzato e ben sostenuto nel concretizzare anche nel caso della nave Gregoretti le medesime condotte, come quelle della nave Diciotti”. Questo nonostante il gup annoti che “dalle deposizioni rese in questo procedimento dall’onorevole Di Maio, dal Senatore Toninelli e dallo stesso presidente del consiglio Giuseppe Conte, si evince con evidenza questa presa di distanza. Distanziamento, senz’altro legittimo sotto il profilo personale e politico, ma che sotto il profilo fattuale non può cambiare la reale essenza della strategia del governo all’epoca degli accadimenti in esame, che rimase ancorata alla fermezza ed alla ricerca della redistribuzione prima di autorizzare lo sbarco, come ampiamente comprovato anche dagli eventi Sar registrati dopo l’avvento del nuovo Ministro dell’Interno”.
Per Sarpietro poi, il caso Gregoretti viaggia sulla stessa linea di quel che è stato fatto solo dopo per la crisi pandemica: “Nel caso della pandemia e delle connesse necessità di gestione sanitaria del territorio, l’intervento governativo ha compresso i diritti dei migranti sacrificandoli rispetto all’esigenza di tutela della salute dei cittadini italiani. Nel caso della Gregoretti, la necessità del sacrificio, ben più ridotto rispetto a quello del confinamento nelle navi – quarantena, era dettato dal bisogno della regolamentazione di un flusso migratorio immane, da un continente all’altro, con conseguenti problematiche inerenti alla tutela della sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico, che imponevano la redistribuzione, non gestibile da una sola Nazione”. E conclude: “In sostanza, la compressione dei diritti dei migranti trova evidenti giustificazioni nei casi in cui dei valori altrettanto importanti, possano essere messi in pericolo senza tale limitazione. Valori primari, che legittimano l’intervento dello Stato in una direzione piuttosto che in un’altra”.
Ma nelle 119 pagine c’è spazio per le dichiarazioni rese alla stampa da Salvini: “Le sue esternazioni in proposito nulla aggiungono al dato fattuale già acquisito, potendosi semmai ricavare che il predetto era fermamente convinto di quello che faceva, e decisamente determinato a trovare una reale soluzione ad un problema, che l’opinione pubblica avvertiva ed avverte tuttora come un pericolo per la pacifica convivenza, pur rendendosi conto della necessità di salvaguardare le vite umane nel mar Mediterraneo”. Un comportamento ben diverso da quello di Lamorgese, che non ha fini politici, non essendo capo di un partito, come sostiene il giudice nelle motivazioni della sentenza: “Il predetto (Salvini, ndr) appare maggiormente proteso a pubblicizzare il più possibile le sue iniziative in siffatta materia ed i risultati raggiunti, in una sorta di dialogo continuo con il suo elettorato. Ma la ministra Lamorgese è un tecnico, mentre l’ex ministro Salvini è un politico ed un capo partito”.