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Il fritto fa male? Una ricerca ribalta i pregiudizi salutisti: “Le verdure fritte sono meglio di quelle bollite. Ma a una condizione”

Cuocere in olio è spesso giudicato un errore, causa di squilibri nutrizionali. Una ricerca ha ribaltato questa posizione, affermando che, soprattutto le verdure, risultano più ricche. Il segreto? Il tipo di frittura

Frittura? No, grazie! Ecco uno dei comandamenti delle diete salutiste e non solo, anche se non è semplice sfuggire alla tentazione di una frittura fatta bene. Perché no al fritto? Si pensa che sia una trasgressione che alla fine faccia pagare un conto salato: difficoltà digestive, surplus di calorie e danni a fegato e cuore. Ora, però, una ricerca condotta da un team di scienziati dell’università di Granada, Spagna, dimostra che invece il fritto non fa male, a patto, però, che sia inserito a tavola in quantità moderate: non più di due volte a settimana e che la temperatura dell’olio non superi i 180°. Poco importa se si tratti di patatine, verdure, pesce, e altro, l’imperativo sta nel seguire un’unica regola: “Il fritto è più salutare se realizzato con l’olio di oliva: qualche caloria in più ma molte sostanze cancerogene in meno”. Secondo i ricercatori alcune verdure mantengono meglio le loro proprietà se vengono fritte e non bollite. La ragione? La frittura produce una maggiore quantità di acido oleico e componenti antiossidanti che aiutano a prevenire, nel lungo periodo, il cancro, il diabete e la perdita della vista. Entriamo più nel dettaglio.

I ricercatori hanno condotto delle prove di cottura con le quali sono state messe a confronto la bollitura, la frittura in olio extravergine d’oliva e la cottura mista in acqua e olio. Per le prove hanno impiegato 120 g di cubetti di patate, zucca, pomodoro e melanzane, dai quali erano stati rimossi semi e buccia. A cottura ultimata le verdure sono state esaminate avvalendosi del metodo della cromatografia liquida ad alta prestazione. Si sono testati i livelli di umidità, grassi, sostanza secca, il numero totale di composti fenolici e la capacità antiossidante. Conclusione? Si è potuto appurare che le verdure fritte in olio di oliva avevano un maggior quantitativo di composti fenolici.

“La frittura è il metodo che produce i maggiori aumenti associati alla frazione fenolica, il che significa un miglioramento del processo di cottura”, ha affermato la professoressa Cristina Samaniego Sánchez, a capo del Dipartimento nutrizionale della facoltà di Farmacia a Granada. E ha aggiunto: “Nel corso degli anni, la ricerca ci ha portato a credere che friggere le verdure è un grande divieto, e le proprietà antiossidanti non contano di fronte alla paura del grasso. Ora però, non è più così”. E la ragione è chiara, visto che la dieta mediterranea è basata su un consistente apporto di verdure e olio extravergine d’oliva che rappresentano una considerevole fonte di fenoli alimentari, componenti fondamentali per la prevenzione delle malattie croniche. La bollitura, invece, può andare bene quando il cibo non è separato dall’acqua di cottura. Insomma, l’aggiunta di olio extravergine d’oliva migliora il profilo fenolico e compensa le carenze del cibo crudo.

Un’idea controcorrente – Sul fritto ha sempre avuto delle idee controcorrente anche Sara Farnetti, internista, esperta di nutrizione funzionale, un approccio nutrizionale che propone una combinazione personalizzata di alimenti che realizza la sinergia giusta di nutrienti capace di condizionare il lavoro degli organi e la liberazione degli ormoni che sono alla base dell’accumulo di grasso nelle diverse zone del corpo e dell’insorgenza di numerose patologie e disfunzioni: quelle cardiovascolari, il diabete, il cancro, le malattie degenerative, i disturbi ormonali e quelli gastrointestinali.

Secondo la Farnetti, in genere i tempi di cottura del fritto sono assai rapidi e l’olio crea intorno al cibo una pellicina protettiva che mantiene intatto il suo contenuto vitaminico. Così, anche se può apparire strano, un alimento fritto è più nutriente di uno bollito. E poi, c’è l’olio caldo che ha la caratteristica di attivare il fegato, di incrementare la produzione di bile con effetti di velocizzazione del transito intestinale che consente di eliminare le tossine. Rimane la regola di non abusarne, attestandosi alle due fritture settimanali. “In realtà ci sono anche delle ragioni per evitare i fritti”, ricorda Franco Berrino. Per il nostro esperto, in merito ai fritti occorre assolutamente evitare quelli che, in genere, s’incontrano nei fast- food, in certe pizzerie e nei ristoranti cinesi. In primis, perché sono cattivi, per chi consuma solo quelli a regola d’arte la differenza è notevole. Poi, potrebbe essere che gli oli in cui sono fritti siano effettivamente nocivi. Da mettere sotto accusa i notevoli interessi commerciali che hanno convinto le popolazioni mediterranee, friggevano solo in olio di oliva, a impiegare gli oli di semi, facendoli apparire più leggeri. In realtà, ieri come oggi, i grassi dell’olio di oliva si alterano meno alle alte temperature della frittura (e della cottura in genere) che non i grassi e gli oli di semi. Questi ultimi, infatti, per la loro struttura chimica, sono più facilmente ossidabili e con l’ossidazione formano sostanze tossiche.

Le regole d’oro: con quale grasso?

– Quale olio usare? Sua maestà l’olio di oliva. E spieghiamone la ragione. Uno dei maggiori pregi di un grasso per frittura è la stabilità. In parole povere vuol dire che l’olio non deve mai raggiungere il “punto di fumo”, tecnicamente viene definita “pirolisi”, la rottura delle molecole determinata dal calore che dà vita a sostanze volatili di odore e sapore acri, dannose per il fegato. In più l’olio di oliva grazie al pregio dei suoi antiossidanti, lo proteggono in fase cottura, non origina durante la frittura acrilamide e aldeidi, composti chimici tossici.

– Meno pregiati gli oli di semi perché si alterano con facilità non solo a temperatura elevata, ma anche a contatto con l’aria.

– E che dire degli oli di semi modificati? Cioè quelli che presentano il vantaggio di resistere al calore, visto che la loro composizione è stata “ristrutturata” in laboratorio, per renderli resistenti alle temperature elevate. Resistono senz’altro al calore, ma risultano insapori e la ristrutturazione non è certo un processo naturale.

– Alcune regole per una buona frittura. Bisogna sempre friggere a una temperatura compresa tra i 160 e i 180°C, intervallo termico che mette al riparo dalla formazione di sostanze tossiche. Friggere in abbondante olio. Evitare il riutilizzo di olio già impiegato, ricordando di smaltirlo in maniera corretta. Infine mai aggiungere olio crudo all’olio già usato.

Bollitura o frittura? Le differenze

Bollitura – Con la bollitura gli alimenti vengono immersi in acqua, che poi è portata a ebollizione. In pratica, i cibi, a contatto con l’acqua bollente, si cuociono. E fin qui tutto bene. Il vulnus di questo metodo di cottura comporta la perdita quasi totale di proteine, grassi e vitamine ed è una cottura ideale solo per il brodo, che può essere riutilizzato per condire e, quindi, è in grado di recuperare le sostanze disciolte in acqua. Meglio, invece, la cottura a vapore, anche se molto lenta.

Frittura – Le verdure mantengono le loro proprietà non bollite, ma fritte: proprio questo tipo di cottura produce una maggiore quantità di acido oleico e componenti antiossidanti che aiutano a prevenire, nel lungo periodo, il cancro, il diabete e la perdita della vista. Le verdure mantengono le loro proprietà nutritive di più se fritte nell’olio d’oliva rispetto a quando sono cotte in acqua. In più le verdure fritte in olio di oliva aumentano le loro capacità antiossidanti, che aiutano a prevenire diverse malattie. Il cibo fritto si cuoce molto in fretta e l’olio gli crea attorno una crosticina protettiva, perciò il contenuto di vitamine rimane intatto: paradossalmente, un alimento fritto è più nutriente di uno bollito. Friggere le verdure con olio di oliva sono più ricche di polifenoli. I polifenoli sono molecole molto presenti nel mondo vegetale. Hanno potere antiossidante e per questo possono aiutare nella prevenzione di numerose malattie.

Articolo di Massimo Ilari

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