Cinzia Zincone, provveditore alle Opere pubbliche del Triveneto, sarà rimossa. Se confermata, la notizia pubblicata da alcuni quotidiani veneti nell’edizione del 13 agosto dimostra che siamo alla resa dei conti in quello che si profila come il secondo grande scandalo del Mose.
Dopo le tangenti, che nel 2014 decapitarono i vertici del Consorzio Venezia Nuova e la classe politica veneta, adesso siamo di fronte allo scandalo dell’inconcludenza per la più grande incompiuta italiana, un’opera costata già sette miliardi di euro e non ancora ultimata. Due anni fa, dopo la seconda marea più alta di sempre, Elisabetta Spitz era stata nominata commissario straordinario per velocizzare i cantieri. La breve illusione dell’autunno-inverno 2020, in cui le paratoie mobili sono state alzate 20 volte, tenendo all’asciutto Venezia, è però durata poco. I cantieri sono bloccati, i creditori non vengono pagati, il commissario liquidatore Massimo Miani ha chiesto la procedura del concordato preventivo per il Consorzio gravato dai debiti. Ma soprattutto in Laguna è in corso da almeno sei mesi una guerra sorda, fatta anche di colpi bassi, che ha visto protagonisti, da una parte il Provveditorato e Cinzia Zincone, dall’altra il Consorzio e l’architetto Spitz. “Nessuno mi ha detto assolutamente nulla, e non ho ricevuto ad oggi alcun provvedimento di sospensione”, ha detto la prima all’agenzia Ansa.
LA RIMOZIONE – Cinzia Zincone, 67 anni, romana, un’esperienza ultradecennale in Laguna con il Mose, ha sostituito il provveditore Roberto Linetti nel dicembre 2019, in concomitanza con l’arrivo al Consorzio della Spitz. A novembre scatterà per lei l’ora del pensionamento. Qualcosa però è accaduto in questa fase delicatissima per un’opera che non sembra mai avere fine. Tra le due donne sono cominciate a nascere difformità di vedute, dopo una prima fase di stretta collaborazione che ha coinciso con la decisione di mettere in funzione il Mose nonostante non fosse concluso. Così l’opera ha dimostrato di poter funzionare, nonostante le criticità progettuali, l’incompletezza operativa e i costi di gestione che si prevedono enormi. In questa partita il Provveditorato è il braccio operativo dello Stato (Ministero delle Infrastrutture) che eroga i finanziamenti e controlla. Il Consorzio, dopo sette anni di gestione da parte degli amministratori straordinari nominati sull’onda degli arresti del 2014, ha registrato nel novembre 2020 l’arrivo del commercialista Massimo Miani quale commissario liquidatore. Con due compiti: ultimare l’opera e liquidare il Consorzio. Il Mose, invece, si è bloccato, anche perchè Miani ha dovuto fare i conti con i debiti e ha cercato di trattare con i creditori. Dentro questo quadro è maturata la decisione di rimuovere la Zincone, entrata più volte in rotta di collisione con il Consorzio.
L’INTERVISTA – L’ultimo atto ha come movente un’intervista pubblicata da La Nuova Venezia il 13 agosto. Secondo Il Gazzettino, il ministero di Enrico Giovannini non ha gradito una presa di posizione così ruvida in un momento molto delicato. Il provveditore non risparmia le osservazioni critiche, in particolare nei confronti di Elisabetta Spitz, “Il commissario straordinario è una figura inutile, lo dimostra la situazione in cui siamo, i ritardi che si sono accumulati nei lavori e nella gestione delle attività del Mose. Una situazione preoccupante e la stagione delle acque alte è già qui”. Sulla catena di comando ha detto: “I tempi si allungano, la catena decisionale si è ulteriormente complicata con nuove figure”. La collaborazione con Spitz? “Devo dire che i suoi uffici non hanno mai agito in raccordo con il Provveditorato come prevede la legge di nomina, si è preferito in più occasioni agire senza nemmeno informare questi uffici”. I debiti del Consorzio? “Fino allo scorso marzo avevo proposto una strada per uscire da questa situazione, non mi hanno dato retta. Il commissario Miani e il suo consulente avvocato Stefano Ambrosini hanno preferito la strada del ricorso in Tribunale. Hanno perso e adesso si ricomincia con altri due commissari liquidatori”. Il riferimento è al tentativo di ristrutturare i debiti, bocciato dai giudici che hanno aperto la via del concordato preventivo, una procedura che rischia di paralizzare tutto per mesi e che ha anche impedito di far partire i lavori per mettere in salvo dall’acqua alta la Basilica di San Marco.
L’APPARTAMENTO – Da qualche settimana la Zincone era sotto tiro. Il 9 agosto un lancio dell’agenzia Adnkronos informava che il Demanio (Spitz ne è stata direttrice dal 2000 al 2008) aveva aperto un accertamento sulla casa dove la Zincone vive a Venezia, nell’ipotesi che non avesse titolo ad occuparla con un affitto di soli 283,80 euro al mese. Lei ha spiegato che ha un regolare contratto e che ha rinunciato a una casa di lusso come Provveditore, preferendo la casa del custode del Magistrato alle Acque, a San Girolamo. E ha commentato: “E’ uscito solo il mio nome? Non lo so, avrò dato fastidio a qualcuno”. La senatrice Orietta Vani dei Cinquestelle ha dichiarato: “Fuori tutti i nomi dell’inchiesta del Demanio. E’ chiaro che questa cosa rientra nel quadro delle polemiche tra Zincone e Spitz”.
IL PAGAMENTO – C’è una seconda grana che pende sulla testa della Zincone e riguarda il pagamento di 850 mila euro a una ditta del Consorzio, la Clodia di Chioggia. Il Provveditorato aveva liquidato l’intero debito, mentre altre imprese hanno incassato di meno. La Finanza sta cercando di ricostruire tempi e modi di un pagamento che per il momento ha portato ad aprire un procedimento disciplinare nei confronti del provveditore. Ad avviarlo è stata Ilaria Bramezza, già segretario generale della programmazione della Regione Veneto (dal 2016 al 2020), da maggio a capo del Dipartimento opere pubbliche e relazioni umane del Ministero delle infrastrutture. Il faro si è acceso su liquidazioni per due milioni di euro.
IL TESORO DEL MOSE – Ciò che sta avvenendo a Venezia ha una cornice drammatica e una posta in gioco. La cornice è quella dei debiti del Consorzio Venezia Nuova che lo hanno fatto scivolare nella procedura pre-fallimentare, complicando la possibilità di poter alzare le paratoie quando arriveranno le acque alte. La posta in gioco è quella dei 539 milioni di euro che il Cipess ha sbloccato per il Mose. Si tratta di un “tesoro” recuperato (su soldi già stanziati) dai risparmi sui tassi d’interesse. Sono soldi fondamentali per completare i lavori e gli interventi di tutela ambientale, che hanno costituito il vero motivo della contesa tra Provveditorato e Consorzio, che ora sembra aver fatto una prima vittima eccellente.